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Addio a Livio Macchia, basso dei Camaleonti
Si è spento a 83 anni nella sua Melendugno. Aveva appena celebrato i 60 anni di carriera con un ultimo concerto carico di gratitudine e nostalgia.
Redazione30 Luglio 2025 - Spettacolo



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    Un ultimo applauso sotto le stelle del Salento

    Melendugno (LE) – Se n’è andato così, in silenzio, Livio Macchia. Ma il suo basso, quel suono profondo che ha accompagnato una fetta intera di storia musicale italiana, continua a risuonare. È morto a 83 anni nella sua Melendugno, in provincia di Lecce, dove si era ritirato da tempo. Una lunga malattia lo aveva provato nel fisico, ma mai piegato nello spirito: fino all’ultimo ha tenuto stretta la sua musica. E la sua gente.

    Appena un mese fa, il 30 giugno, si era esibito in un concerto speciale nella piccola frazione di Roca, per celebrare i 60 anni dei Camaleonti. Un palco semplice, tra le luci del tramonto e gli amici di sempre. Quelli con cui aveva condiviso sogni, furgoni, e applausi.

    Il saluto del sindaco e della sua seconda patria

    Ad annunciare la notizia è stato il sindaco Maurizio Cisternino, con parole che vanno oltre la politica:

    “Se ne va una stella della musica italiana e internazionale, ma soprattutto un mio grande amico. Un figlio della nostra Melendugno, che lo ha accolto e amato fino alla fine.”

    Una frase che non suona come un comunicato, ma come un abbraccio. Perché in fondo Livio, da artista vagabondo, in Salento aveva trovato una nuova casa. Una terra che gli somigliava: autentica, battuta dal vento, irriducibile.

    Dalla Puglia a Sanremo: la lunga corsa dei Camaleonti

    Nato ad Acquaviva delle Fonti nel 1941, Macchia aveva iniziato a Milano la sua avventura musicale. Lì conobbe Tonino Cripezzi, Gerry Manzoli, Paolo De Ceglie e Riki Maiocchi. Lì nacquero i Camaleonti, grazie anche all’intuito di Miki Del Prete, collaboratore di Celentano, che li scritturò per la Kansas.

    Poi arrivarono le hit, i tour, i juke-box che suonavano Chiedi chiedi o Sha la la la la. I Festivalbar, i Cantagiri. E cinque partecipazioni a Sanremo, la prima con Eternità, in duetto con una certa Ornella Vanoni. Anni in cui la musica si faceva di notte, nei locali pieni di fumo e sudore. Anni di libertà.

    “Eravamo ragazzi. Punto.”

    In un’intervista di qualche anno fa al Corriere della Sera, Macchia disse una frase che riassumeva tutto:

    “Eravamo sempre con gli strumenti in mano. Al pomeriggio le prove, la sera sei ore di musica. Suonavamo di tutto: Claudio Villa, rock americano, liscio… improvvisavamo. Eravamo ragazzi, non ce ne fregava di niente e di nessuno.”

    Era questo lo spirito dei Camaleonti. Niente etichette, solo suoni. Una band capace di parlare a chiunque, senza tradire sé stessa. Sempre un po’ fuori dal coro, ma mai fuori tempo.

    Una chitarra in mano, fino alla fine

    Livio non si è mai definito una star. Era un artigiano del palco, uno che preferiva suonare piuttosto che parlare. Ma chi lo ha ascoltato — anche solo una volta — ha sentito qualcosa. Un’energia sincera, un’emozione che non aveva bisogno di effetti speciali.

    Con lui se ne va un pezzo di musica italiana. Ma resta la sua voce, la sua chitarra, i suoi occhi pieni di ironia. Resta il suo ultimo concerto, regalato non per dovere ma per amore. Resta la bellezza di una carriera vissuta fino in fondo, senza mai voltarsi indietro.

    Ciao Livio. La musica non dimentica.

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