Perché gli italiani tendono fidarsi mediamente poco di un mezzo come la firma digitale? Le ricerche di campo effettuate ci dicono che, malgrado ormai le utenze attive abbiano superato i 30 milioni, l’utilizzo sistematico di questo strumento incontra ancora molte resistenze da parte di un numero non trascurabile di utenti. Le ragioni possono essere molteplici, e la pandemia – con la conseguente necessità, per milioni di italiani, di lavorare per mesi da remoto – ne ha solo in parte mitigato gli effetti. Di fatto, per una parte consistente degli italiani utilizzare un tool come la firma elettronica perfirmare documento pdfin maniera digitale per velocizzare e snellire determinate procedure (siano esse di carattere burocratico o commerciale), rappresenta tuttora, se non un tabù, qualcosa a cui guardare con sospetto.
Probabilmente, tutte queste ragioni possono essere racchiuse in una generica “tara culturale”: in fondo, l’Italia è la patria dei notai, e sin dal Rinascimento il documento scritto, firmato e autenticato ha un valore quasi sacrale, difficile da scalfire. Che questa sacralità si traduca poi in una serie di luoghi comuni, apparentabili per consistenza a una versione 2.0 delle vecchie credenze popolari, è quasi un’inevitabile conseguenza di ciò. Ma proprio perché di luoghi comuni, e niente altro, si parla, qui di seguito proveremo a confutare almeno i più ricorrenti.
La firma digitale è facilmente falsificabile/contraffabile/riproducibile da terzi. È esattamente il contrario: la firma digitale è molto più sicura della firma autografa. Quest’ultima, infatti, può essere facilmente riprodotta da un bravo grafomane con un minimo di talento nella mimesi della calligrafia, e per scorgere l’inganno si rende necessario rivolgersi a un grafologo altrettanto abile. Mentre la firma digitale è sempre protetta da una crittografia praticamente inviolabile, che può essere “aperta” solo dal titolare delle credenziali, ovvero dal “proprietario” della firma.
La firma digitale ha un’utilità relativa e limitata a pochi ambiti. Anche in questo caso, bisogna smentire tale affermazione. Una firma digitale trova un’ampia gamma di usi, sia commerciali che burocratici, può aiutare a snellire lo scambio di informazioni e documenti in un’azienda di grandi dimensioni ed è largamente impiegata nella compravendita di beni e servizi.
È improbabile che una firma digitale italiana venga riconosciuta e accettata all’estero. È assolutamente falso: nella maggior parte dei paesi stranieri, in primis le grandi superpotenze industriali (Stati Uniti, Germania, Cina e Giappone in prima istanza), la firma digitale è largamente in uso da anni anche per lo scambio di documenti su scala internazionale. Quindi c’è spesso una maggiore propensione da parte dell’interlocutore straniero nell’accettarla. In alcuni casi – si pensi al boom economico cinese e sudcoreano nel corso del biennio di pandemia – essa è stata persino un fattore nella ripresa di tali paesi nel corso della pandemia, mentre molti altri hanno annaspato per mesi.
L’utilizzo della firma digitale è complicato e macchinoso. Affermazione sostenuta da chi, evidentemente, non ha mai fatto uso di tale strumento. Il quale, al contrario, è assolutamente intuitivo e in gran parte automatizzato. In sostanza, si tratta solamente di accedere al proprio profilo privato tramite delle credenziali cifrate simili a qualunque sistema di log in/log out in uso nella rete; dopodiché è sufficiente seguire una procedura guidata praticamente a prova di errori (i quali, comunque, sarebbero facilmente emendabili).
Si tratta di uno strumento costoso. È invece quanto di più economico si possa trovare attualmente sul mercato, digitale e non solo. Soprattutto se teniamo conto anche del considerevole risparmio di tempo che il suo utilizzo sistematico comporta, in particolare in uffici suddivisi in una molteplicità di dipartimenti.