Cultura

Presentato "Storie recluse", il carcere da non dimenticare

Scrivere un libro di racconti sul tema del carcere è un piccolo atto di coraggio civile, decidere di presentarlo all'interno di un penitenziario è, pe...

Redazione

Scrivere un libro di racconti sul tema del carcere è un piccolo atto di coraggio civile, decidere di presentarlo all'interno di un penitenziario è, per certi versi, una scommessa doppia. Si rischia di cadere nella retorica istituzionale, da una parte, o di impattare con le reazioni di chi quella realtà estrema la vive sulla propria pelle quotidianamente e trova difficile che qualcuno, da fuori, possa renderne, con ragione, la misura. Ma Fabrizia Sala, psicologa e psicoterapeuta trapanese, può dire di essere riuscita nel doppio intento di raccontare, con la sua sensibilità di scrittrice, le sue "Storie recluse" e di far parlare anche coloro che dietro le sbarre ci stanno passando un pezzo della propria vita. Un incontro, quello realizzato stamattina alla Casa circondariale di Trapani, a cui erano presenti, oltre all'autrice, il magistrato Dino Petralia, lo scrittore Giacomo Pilati e due lettori, Michele Morfino e Ornella Fulco, che hanno dato voce ai personaggi usciti dalla penna di Sala. A fare gli onori di casa il direttore del carcere Renato Persico che, insieme al personale della Polizia penitenziaria e ai docenti delle scuole che operano all'interno della struttura, ha consentito il realizzarsi di un "incontro" davvero riuscito. Il carcere è, spesso, una realtà di cui poco ci si occupa e a torto se davvero crediamo nella funzione non soltanto punitiva ma, soprattutto, rieducativa della pena inflitta. "Privare qualcuno della libertà è già moltissimo - ha commentato Fabrizia Sala nel rispondere alle domande di Giacomo Pilati - il carcere non dovrebbe comportare ulteriori afflizioni". E di umanizzazione delle carceri ha parlato anche Dino Petralia che di questa realtà ha esperienza dal punto di vista del magistrato: "Il carcere è destinato a diventare una forma residuale di punizione dei reati - ha dichiarato - mentre saranno sempre più utilizzate altre modalità: si pensi, per esempio, alla detenzione domiciliare". Del valore della parola e della scrittura si è parlato molto, oggi, anche da parte dei docenti che fanno lezione dietro le sbarre. Parola e scrittura che diventano un modo - nuovo per molti dei detenuti coinvolti - per raccontare il proprio dolore, le proprie speranze anche sulle pagine del giornalino "Germogli", realizzato in collaborazione con l'Istituto di Istruzione superiore "Sciascia" di Erice. Un'occasione per essere guardati e conosciuti "oltre" lo stigma della colpa e della riprovazione sociale. "Storie recluse", storie di tutti noi. (foto Ornella Fulco)

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