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Depositata la sentenza contro i cugini Marino

11 Ottobre 2013 10:06, di Niki Mazzara
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La Corte d'Assise d'appello di Milano non ha dubbi: l'omicidio di Urago Mella del 2006, quando furono uccisi l’imprenditore Angelo Cottarelli, la mogl...

La Corte d'Assise d'appello di Milano non ha dubbi: l'omicidio di Urago Mella del 2006, quando furono uccisi l’imprenditore Angelo Cottarelli, la moglie Marzenna Topor e il loro figlio 17enne Luca, è attribuibile a Vito e Salvatore Marino, i due cugini di Paceco che sono stati condannati all'ergastolo. Nelle 67 pagine della sentenza, la terza sezione penale della Corte d’Assise d’appello di Milano (presidente Sergio Silocchi) sostiene che la condanna per omicidio - aggravato dalla crudeltà ma non dalla premeditazione e dai motivi abbietti - è stata emessa "in totale assenza di qualsiasi ipotesi alternativa formulabile da questa corte o spiegazione da parte degli imputati circa le loro attività il 27 e 28 agosto» per cui la strage non può che portare la loro firma. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, fatta propria dai Magistrati giudicanti, la strage sarebbe maturata in una situazione degenerata all’improvviso risultando ai giudici «pienamente attendibile che chi brandiva una calibro 22 contro la testa di Angelo Cottarelli o di uno dei congiunti al fine di arrecare il massimo spavento possibile abbia inavvertitamente fatto partire un colpo. Ciò, a quel punto, impose un’esecuzione collettiva». A dare corpo alle accuse contro i cugini Marino sono state anche le deposizioni dei testimoni che avevano detto di aver visto i soggetti sostare sotto l’abitazione di Cottarelli e uscire dalla casa la mattina del fatto. Punto centrale, inoltre, la deposizione di Dino Grusovin, architetto triestino, che ammise di essere stato a casa Cottarelli quella mattina, ma legato al tavolo della cucina. Per i giudici Grusovin avrebbe mentito sul proprio ruolo, ma non sulla sua presenza in via Zuaboni, come appurato dal fatto che il suo cellulare il 27 agosto agganciava la cella in zona e le telefonate che da lì partono per chiedere il contatto dell’Immobiliare di Cottarelli e dalla sua capacità di portare gli investigatori alla villetta. Tutti dati che acclarano come Grusovin fosse parte integrante del trio. Nelle motivazioni della sentenza si fa poi cenno ai telefonini che i Marino avrebbero lasciati, spenti, a Paceco «per impedire la ricostruzione dei loro spostamenti» e la «stranezza» del fatto di aver noleggiato una Punto a Linate per andare a Brescia, anziché continuare il viaggio con la Bmw del fratello di Vito: su entrambe le auto sono state rinvenute particelle di piombo e bario compatibili con quelle rinvenute a casa Cottarelli. La causa del triplice omicidio, infine, per la Corte è da ricercare nel «bisogno di finanziamenti da parte di Vito Marino», 300 mila euro, che avrebbe spinto Marino a cercare Cottarelli. Marino, infatti, sapeva che Cottarelli, coinvolto in un giro di fatturazioni illecite, «custodiva denaro e documenti in tavernetta» . Un altro punto su cui la Corte ha puntato i riflettori è la disponibilità del cugino di Vito, Salvatore Marino,di fascette della stessa marca di quelle trovate ai polsi delle vittime. Un collegamento evidente, per i magistrati. Tutte accuse che i condannati hanno con fermezza contestato.

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