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Campobello di Mazara | Cronaca

Dia. Beni per 100 milioni di euro confiscati ad imprenditore di Monreale legato alle famiglie mafiose di Mazara

04 Giugno 2021 07:20, di Redazione
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Era uno dei principali artefici del riciclaggio internazionale a servizio di “cosa nostra” a Campobello di Mazara

La Corte d’Appello di Palermo ha emesso nei confronti di un imprenditore di Monreale (PA) un provvedimento di confisca con il quale ha confermato quanto già deciso dal Tribunale di Trapani nel 2016, a seguito di proposta avanzata dal Direttore della DIA. Si tratta di del patrimonio del costruttore Calcedonio Di Giovanni.
Il sequestro e la prima confisca erano stati disposti dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani. Secondo gli inquirenti, pur non risultando formalmente affiliato, Di Giovanni sarebbe stato “contiguo” a Cosa Nostra, in particolare con la famiglia Agate di Mazara del Vallo. Nel patrimonio confiscato, oltre a società con sedi a San Marino e Londra, rientra anche il villaggio turistico “Kartibubbo”, sul litorale di Campobello di Mazara, che avrebbe ospitato in diverse occasioni mafiosi latitanti.

La confisca ha riguardato il patrimonio mobiliare, immobiliare e societario, per un valore
stimato in oltre 100 milioni di euro,
consistente in appartamenti, terreni, conti bancari e compendi aziendali tra cui un noto complesso turistico che al tempo ospitava anche ville in possesso di noti boss mafiosi.
Negli anni più recenti, l’uomo ha avuto accesso a rilevantissimi finanziamenti pubblici nazionali e comunitari, coinvolgendo nei propri progetti anche gli interessi di soggetti di spicco della mafia di Castelvetrano (TP). Strutture in realtà rimaste ferme alla fase progettuale oppure i cui costi di realizzazione sarebbero stati gonfiati a dismisura.

Originario di Monreale, Di Giovanni, viene descritto come “imprenditore spregiudicato” entrato in affari anche con mafiosi di Castelvetrano, tra cui Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro, e in contatto con Pino Mandalari, il commercialista di Totò Riina. “L’esistenza di collegamenti fra mafia, massoneria e affari trasuda – si leggeva nella iniziale proposta di sequestro ora confermata – da tutti gli atti di questo procedimento nella parte in cui viene in ballo il ruolo degli istituti di credito preposti al controllo dell’avanzamento dei lavori finanziati. Vennero erogate immense quantità di denaro in assenza totale di controlli e qualche volta con la chiara dimostrazione agli atti dell’assenza dei presupposti per continuare a finanziare l’opera”.

Le approfondite investigazioni svolte dalla DIA, che avevano permesso di accertare l’esistenza di una palese situazione di sperequazione fra i redditi dichiarati dall’imprenditore ed i beni accumulati negli anni, si sono rivelate fondamentali per la conferma, da parte del Giudice di secondo grado, del provvedimento ablativo impugnato dall’imprenditore.

É stata confermata anche la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di tre anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

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