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Il fenomeno dell'immigrazione e la paura del diverso

02 Luglio 2019 08:00, di
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Migranti: Una interpretazione in chiave psicologica del fenomeno.

Cari amici, oggi voglio proporvi una riflessione che riguarda un tema molto scottante e di cui si parla veramente tanto negli ultimi tempi e cioè il fenomeno dell’immigrazione, tematica che ogni giorno vede scontrarsi diverse tipologie di pensiero, da coloro che si schierano a difesa dell’altro e dei diritti umani a quelli che invece  lo condannano e sperano che si riesca a porre fine a questa “invasione” . Si parla sempre di ciò che è giusto o sbagliato, di quale sia la verità più giusta ma non ci si chiede mai cosa c’è alla base di atteggiamenti di chiusura verso l’altro, il diverso. Proprio per questo voglio proporvi una interpretazione in chiave psicologica del fenomeno.

Prima di tutto vorrei soffermarmi sul concetto di migrazione. Cos’è la migrazione? 

Con il termine migrazione ci si riferisce ad un movimento di individui da un'area geografica ad un'altra, fatta con l'intenzione di stabilirsi temporaneamente o permanentemente nella nuova area. La migrazione può essere:

- Interna: quando un individuo si sposta all'interno di uno stesso stato;

- Esterna: quando ci si sposta da uno stato ad un altro.

La migrazione può riguardare individui, famiglie o larghi gruppi di persone e può essere dovuta a diversi fattori: economici, politici, sociali e ambientali. Può essere inoltre di massa o di piccoli gruppi.

Le migrazioni sono sempre state una componente fondamentale nella storia umana: nascono con la comparsa dell’uomo su questa terra. Grazie alle migrazioni preneolitiche l’uomo ha popolato l’intero pianeta e grazie ad esse si è potuto evolvere e creare delle condizioni di vita favorevoli alla propria sopravvivenza su questa terra, dalla invenzione e diffusione dell’agricoltura fino alla nascita ed allo sviluppo di vere e proprie società strutturate. Da questo punto di vista dunque le migrazioni possono essere viste come fenomeni naturali ed utili all’uomo, in quanto hanno sempre permesso a questo di migliorare le proprie condizioni di vita. Ancora oggi assistiamo a migrazioni da un territorio ad un altro, fenomeni che si verificano soprattutto in aree geografiche svantaggiate, basta volgere lo sguardo a ciò che accade proprio a casa nostra, dove sempre più giovani, soprattutto provenienti dal sud Italia si allontanano dalla propria terra alla ricerca di un futuro migliore…questo ragionamento per noi è normale, è giusto e scontato…tutti noi abbiamo diritto ad un lavoro, ad una possibilità di un futuro migliore, ma sembra che lo stesso ragionamento non trovi più applicazione quando siamo noi ad essere considerati terra di approdo, meta di migrazioni provenienti da altri continenti. Perché ad un certo punto ciò che noi consideriamo legittimo e giusto non vale più se invertiamo la prospettiva e lo applichiamo ad altre popolazioni? Cosa c’è alla base di questa differenza di ragionamento? Perché ciò che per me è giusto, quando si tratta di migliorare le mie condizioni di vita, non vale invece per un altro essere umano che è spinto dalle mie stesse motivazioni? Perché per noi cambiare paese o stato in cerca di fortuna è legittimo e per loro non deve essere così? In fondo queste persone stanno facendo ciò che è sempre stato fatto da tutte le popolazioni su questa terra che sono andate alla ricerca di condizioni di vita migliori. Mi soffermo in particolare sul fenomeno dell’immigrazione dal continente africano poiché si tratta di una grande migrazione ed è il motivo per cui è sottoposta all’attenzione di tutti e se ne parla ogni giorno con toni sempre più accesi.

Di fronte a questi massicci flussi migratori emerge nelle popolazioni che li ospitano un doppio sentimento: a forme di solidarietà verso queste persone si contrappone una presa di distanza ed un rifiuto spesso legato ad una presa di coscienza della diversità noi-loro. Nasce così il conflitto tra il we-group, cioè il noi, e  l’out-group, cioè loro. Il noi rappresenta la sicurezza, la certezza, il conosciuto; loro sono l’altro, i diversi, percepiti come incombenti e minacciosi, che ci fanno paura perché mettono in crisi il nostro gruppo d’appartenenza, la nostra identità di popolo.

Il conflitto tra noi e l’altro determina di conseguenza la nascita del pregiudizio e la costruzione di stereotipi: il senso di appartenenza ad un gruppo assume infatti un significato molto importante per noi in quanto ci dà sicurezza, ci fa sentire protetti poiché ci rapportiamo al conosciuto, al familiare, ad usi, consuetudini, norme condivisi che costituiscono un quadro di riferimento essenziale per l’individuo, che soddisfa appunto il bisogno di sicurezza, che è uno dei principi su cui si fonda l’intera esistenza umana.  Ed è per questo motivo che accettiamo anche di buon grado gli stranieri che provengono da contesti ricchi, poiché essendo simili a noi per struttura sociale e organizzazione li interpretiamo come più familiari e li percepiamo di conseguenza come interessanti, affascinanti anche se diversi da noi e dal nostro contesto.

L’immigrato, invece, viene considerato un outsider, un individuo senza status, senza identità, relegato a un livello basso nella scala sociale. Poiché proviene da un mondo molto diverso dal nostro per struttura sociale e cultura, viene associato spesso alla povertà materiale e culturale e quindi viene percepito come un’ombra che turba la tranquillità del we-group e in questo caso il pregiudizio nei suoi confronti sarà negativo.

Proprio per questo motivo solitamente nutriamo giudizi favorevoli per  francesi, tedeschi, americani, inglesi ecc…e negativi per altre etnie molto lontane dal nostro essere quali albanesi, zingari, africani, ecc…

Ma andiamo ad  analizzare nel dettaglio in cosa consistono il pregiudizio e gli stereotipi…quando ci facciamo un’opinione su una persona senza conoscerla, sulla base di supposte caratteristiche del gruppo cui riteniamo la persona appartenga, stiamo esprimendo un pregiudizio. I pregiudizi dunque sono idee precostituite e presunte senza essere state verificate direttamente. Quando i pregiudizi diventano diffusi e permanenti nascono gli stereotipi. Le persone che nutrono dei pregiudizi nei confronti di un altro tenderanno a prendere in considerazione solamente le cose che confermano le loro idee, rafforzando di conseguenza il pregiudizio e gli stereotipi in cui credono. Pregiudizi e stereotipi, nonostante abbiano un carattere prevalentemente negativo, dal punto di vista cognitivo sono degli strumenti che ci permettono di interpretare e semplificare la realtà altrimenti per noi molto complessa: in questo modo tendiamo a generalizzare, a estendere le osservazioni fatte su pochi elementi ad intere categorie, per cui ad esempio violenze o abusi subiti per mano di alcuni stranieri ( africani, albanesi, rom ecc…) ci inducono a generalizzare e ad estendere il giudizio negativo all’intero popolo: tutto ciò che non ci è familiare, che non fa parte del nostro gruppo di riferimento ci fa paura e dunque viene rifiutato, allontanato e condannato. Le espressioni tipiche attraverso le quali si esprime il  pregiudizio sono per esempio: io non sono razzista ma... oppure io non ho nulla contro gli immigrati, ma… seguite da argomenti negativi nei confronti di quella minoranza. Chi parla così tende dunque a salvaguardare la sua identità che gli impone valori quali la tolleranza, l’amore verso il prossimo, l’uguaglianza verso i propri simili ma nello stesso tempo esprime opinioni ostili ed intolleranti nei confronti del diverso.

Il rifiuto dell’altro è sostanzialmente il tentativo di salvaguardare il sé e la propria identità perché ci si sente minacciati dalla diversità; la diversità fa paura ma se si vuole  sconfiggere la paura è necessario conoscerla.

Riconoscere e ammettere l’esistenza del pregiudizio come atteggiamento di difesa nei confronti dell’altro potrebbe portare a cambiare atteggiamento nei confronti della diversità. Solo la conoscenza autentica dell’altro e il contatto diretto con persone provenienti da altri contesti culturali, può aiutarci ad acquisire informazioni che di fatto riducono il pregiudizio e la conflittualità. La familiarità con persone che vengono da altri contesti elimina almeno una parte della paura del diverso, riducendo l’ostilità e la diffidenza. Certamente la via più semplice è quella di continuare generalizzare e a ragionare per stereotipi, a semplificare la realtà ma questo comporta necessariamente continuare a vivere nella paura del diverso ed in una società inevitabilmente multietnica continuare a vivere nella paura dell’altro vuol dire non vivere. Riuscire a superare il concetto istintivo di paura può migliorare la società di tutti, non intesa come nostra/loro. Non è con la paura, la stigmatizzazione delle differenze e la chiusura che si progredisce, ma con la valorizzazione delle unicità, senza stereotipi e pregiudizi. Non possiamo annullare le differenze, queste esistono da sempre ed esisteranno sempre, fanno parte della natura dell’essere umano, allora forse l’unico modo per affrontarle è quello di  salvaguardarle e di imparare ad avere meno paura della diversità attraverso la conoscenza…può sembrare un paradosso ma il modo migliore per salvaguardare noi stessi ed il nostro essere è proprio quello di accettare le differenze e lasciare che queste sussistano.

Alla prossima amici e buona settimana!

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