In mostra a Palermo immagini e testimonianze del terremoto del Belice
Gli scatti dei fotoreporter, il primo servizio del radiogiornale, i filmati degli archivi Rai. E ancora: il progetto urbanistico per Gibellina Nuova,
Gli scatti dei fotoreporter, il primo servizio del radiogiornale, i filmati degli archivi Rai. E ancora: il progetto urbanistico per Gibellina Nuova, i bozzetti dei monumenti e le opere degli artisti che, raccogliendo l’appello del sindaco Ludovico Corrao, parteciparono al tentativo di ricostruzione del territorio nel segno dell’arte. A 50 anni dal terremoto del Belìce - anniversario che domenica prossima sarà ricordato a Partanna alla presenza Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - la Fondazione Sant’Elia ospita a Palermo la mostra "1968/2018 PAUSA SISMICA. Cinquant’anni dal terremoto del Belìce. Vicende e visioni”, (28 gennaio - 13 marzo). L'inaugurazione è prevista per il 27 gennaio. Alle 16.48, ci fu la terza scossa: si sbriciolarono i muri di Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita e Santa Ninfa. Nella notte, alle 2.33, un’altra scossa molto violenta si avvertì fino a Pantelleria. Ma quella devastante, definitiva, fu alle 3.01: il Belìce non esisteva più, i soccorritori si trovarono dinanzi – quando riuscirono a raggiungere la valle del Trapanese, percorrendo strade distrutte – un paesaggio lunare, paradossale, senza vita. Il terremoto che squassò il Belìce cinquant’anni fa – nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 morirono quasi 300 persone (ma il numero esatto non si saprà mai), 1000 furono i feriti e 70 mila gli sfollati - rase al suolo paesi abitati soprattutto da vecchi, donne e bambini, visto che gli uomini erano emigrati in cerca di lavoro. E portò alla luce una realtà sconosciuta, quella della Sicilia rurale e arretrata che lo Stato aveva dimenticato. Il terremoto del Belìce fu il primo grande “caso” del dopoguerra che mise a nudo l’impreparazione dei soccorritori, l’inerzia dello Stato, lo squallore dei luoghi dove ancora, nel 1976, 47 mila persone vivevano nelle baracche. Le ultime 250 furono distrutte nel 2006. La mostra - curata dalla Fondazione Orestiadi* e co prodotta dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina - va avanti per temi e sezioni che, nel loro intrecciarsi, restituiscono la complessità dell’accaduto. Si parte dalla notte del terremoto, tra il 14 e il 15 gennaio 1968: gli scatti dei fotografi - Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi - che si precipitarono nella Valle, i primi documenti video, il periodo nelle baracche (Letizia Battaglia). Alla ricostruzione e a Gibellina Nuova è poi dedicata un’intera sezione della mostra che esplora l’urbanistica, le architetture, le sculture attraverso i modelli delle opere realizzate.
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