Interruzioni volontarie di gravidanza, donne ancora penalizzate
Riceviamo e pubblichiamo una nota di Valentina Colli, responsabile del circolo UDI "Franca Rame" di Trapani a proposito di applicazione della legge 19...
Riceviamo e pubblichiamo una nota di Valentina Colli, responsabile del circolo UDI "Franca Rame" di Trapani a proposito di applicazione della legge 194. La pubblichiamo integralmente. "Sono passati quasi quarant’anni dall’entrata in vigore della legge 194, la normativa che ha introdotto la legalizzazione e la regolamentazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, ma ogni giorno le donne continuano a rimbalzare contro il muro di gomma dell'obiezione di coscienza: in Italia 7 ginecologi su 10 si rifiutano per motivi etici di praticare una interruzione di gravidanza negando, di fatto, quello che è il diritto della donna ad una maternità consapevole. E incrementando, ovviamente, il ritorno all'aborto clandestino. In tal senso, la nuova misura del Governo - il calderone di depenalizzazioni inserito nel decreto n.8 del 15 gennaio 2016 approvato dal Consiglio dei Ministri ed entrato in vigore lo scorso 6 febbraio - prevede che le donne verranno punite con una sanzione amministrativa compresa tra i 5mila e i 10mila euro, mentre il reato penale per chi abortisce oltre i 90 giorni di gravidanza viene cancellato. In precedenza, secondo quanto stabilito dall’articolo 19 della legge 194, la multa nei confronti delle donne che praticavano l’interruzione di gravidanza in clandestinità era stata fissata a 51 euro. Una cifra simbolica che aveva lo scopo di consentire alle donne di andare in ospedale in caso di complicanze e di denunciare coloro che praticavano gli aborti fuori dalle strutture pubbliche. La conseguenza pratica di questa “depenalizzazione” sarà che le donne non andranno più a curarsi rinunciando alla propria salute né a denunciare chi compie atti illeciti, violando la legge. Con un solo decreto, siamo tornati indietro di quasi quarant’anni. Sottovalutare il legame esistenze tra aborto clandestino e obiezione di coscienza significa mentire su un problema reale che molte donne affrontano (purtroppo) nel corso della loro vita. Problema reale che, purtroppo, non può che affrontarsi sulla base dei numeri reali: cioè la proporzione tra le richieste di IVG, numero degli obiettori ed Interruzioni realmente portate a termine. Laddove i numeri risultano falsati - da richieste non registrate, da rinvii ad altre strutture o ripensamenti - per la Ministra, risulta falsata la necessità della domanda e la congruità della risposta delle strutture sanitarie. Ora, se l'art. 8 della L. 194 rinvia alle regioni una corretta applicazione della stessa utilizzando per esempio il metodo della mobilità per garantire la presenza degli obiettori nelle strutture ospedaliere, è altresì vero che questi stessi medici possono revocare la loro stessa non-obiezione per ragioni di opportunità , di carico di lavoro, della mobilità stessa. Passo del gambero che la Ministra Beatrice Lorenzin non intende ammettere, nonostante il "rimprovero" della Commissione Europea. Ci tocca quindi fare i conti con la realtà , che è ben più complessa dei dati statistici. Realtà drammatica, a partire dalla mancanza totale di attenzione alla prevenzione, che dovrebbe passare attraverso un serio, finalmente, programma di educazione sessuale nelle scuole e un concreto supporto economico e professionale ai consultori. L’elevata presenza di medici obiettori sembra riflettersi anche sull’operatività e l’efficacia dei consultori nelle loro funzioni di prevenzione e supporto della donna nelle fasi antecedenti alla interruzione di gravidanza: l’efficacia ed il ruolo dei consultori nei processi di prevenzione e supporto all’interruzione di gravidanza appare in molti casi indebolita dalla mancanza di figure mediche adeguate o disponibili al rilascio della documento e della certificazione necessaria per l’IVG, soprattutto al Sud. Un elemento che allontana le donne da queste strutture e dai loro indispensabili servizi di informazione, prevenzione e supporto. Infatti, nonostante i tassi di presenza di consultori sia di 1.5 consultori pubblici ogni 10000 donne in età 15-49 anni tanto nell’Italia settentrionale quanto in quella meridionale, al sud solo il 20.6%, e nelle isole addirittura il 15.8%. In queste aree le donne, temendo di vedersi rifiutare la certificazione o di venire giudicate dal personale dei consultori, si rivolgono direttamente alle strutture che effettuano le interruzioni di gravidanza bypassando interamente il percorso consultoriale. Realtà drammatica, che si esplica bene nella ormai nota vicenda dell'ospedale di Trapani nel quale, per garantire le Ivg, due volte a settimana presta il proprio operato un ginecologo non obiettore del presidio di Castelvetrano. Troppo poco, mortificante per la donna, non garantisce nè una continuità di servizio nè un rapporto umano con le donne, certo. Ma siccome a noi non piace cibarci solo di recriminazioni o di quel che sarebbe più giusto e poi lasciare la palla in mezzo al campo, proviamo piuttosto a proporre soluzioni, fermo restando un'ovvietà : l'Asp non può moltiplicare i medici non obiettori e tirarli fuori dal cilindro. Su sollecitazione della Regione, può ricorrere alla mobilità , ma il problema "numerico" resta. Può ricorrere al reimpiego del personale in quiescenza nelle strutture pubbliche e/o convenzionate (e qui il problema è spinoso, perchè il Ccn lo permette, ma la l.194 no...), ma si pone il triste problema del bilancio. Allora, considerato che: l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza è previsto e disciplinato dall'articolo 9 dalla Legge 194/78. Tuttavia la stessa legge ne disciplina e regolamenta l’uso stabilendo che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7" e stabilendo inoltre che la regione controlli e garantisca l’attuazione e l’effettiva erogazione di tali servizi “anche attraverso la mobilità del personale", una misura scarsamente se non per niente utilizzata dalle strutture fino ad oggi; l’obiezione di coscienza si configura quindi come un diritto della persona, ma non della struttura, che ha l’obbligo di erogare le prestazioni sanitarie previste dalla legge. Sposiamo allora il parere del Comitato Nazionale di Bioetica sull’obiezione di coscienza, formulato al Governo il 30 Luglio 2012, che sostiene la necessità di un diritto all’obiezione “sostenibile”, che “non deve limitare ne? rendere piu? gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge ne? indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale” raccomandando “la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'odc viene esercitata, che puo? prevedere forme di mobilita? del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori”. Non esistono al momento efficaci strumenti di monitoraggio, premialità o penalizzazione per verificare, stimolare o supportare l’effettiva funzionalità delle strutture preposte all’applicazione della Legge 194/78 nonchè per analizzare adeguatamente l’impatto del fenomeno dell’obiezione di coscienza sulla loro funzionalità . Il Governo dovrebbe impegnarsi: - Ad adottare tutte le misure necessarie affinchè le regioni garantiscano il rispetto e la piena attuazione della legge 194/78 in tutte le strutture del loro territorio, adottando, ove necessario, una revisione dell’organizzazione delle mansioni e del reclutamento delle strutture sanitarie che faccia leva sugli strumenti di mobilità del personale previsti dalla legge e che preveda forme di reclutamento differenziato atti a riequilibrare il numero di obiettori e non obiettori. - Ad introdurre un sistema di monitoraggio costante e rigoroso delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti dalle regioni sul fronte dell’applicazione della legge 194/78 e della tutela della salute della donna in tutte le strutture operanti sul loro territorio, collegando a tali risultati meccanismi di premialità e penalizzazione; - A rafforzare l’attività dei consultori, monitorando l’effettiva disponibilità del personale che vi opera a erogare tutti i servizi legati alle richieste di IVG e ad emettere le necessarie documentazioni e prevedendo una maggiore interazione tra questi e le strutture ospedaliere, definendo percorsi integrati secondo standard e procedure che consentano di seguire e supportare la donna in tutte le fasi legate all’IVG. In Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo per legge di rendere disponibili i servizi di interruzione della gravidanza. In Inghilterra è obiettore solo il 10% dei medici ed esistono centri di prenotazione aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Non solo. Tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori. In Svezia il diritto all’obiezione di coscienza non esiste proprio. Gli specializzandi in ginecologia e ostetricia che pensano che l’aborto sia una cosa sbagliata vengono indirizzati verso altre specializzazioni. Ma di questo, si può e si DEVE occupare il Governo. Purtroppo, se le responsabilità sono trasversali, non sempre lo sono le competenze". Valentina Colli UDI TRAPANI
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