Roma – Per l’82enne boss mafioso di Marsala Vito Marceca non ci sarà nessuno sconto di pena. Marceca, era stato condannato all’ergastolo nel maxi-processo di mafia “Omega”.
La sentenza del Processo Omega della Corte d’Assise di Trapani fu letta il 19 Aprile 2000 e in quella occasione i giudici scrissero “che in provincia di Trapani, si era consacrata l’ascesa definitiva di Riina ai vertici della piramide mafiosa”.
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Rosa Pezzullo) ha dichiarato “inammissibile” il ricorso contro la sentenza della prima della Cassazione che aveva respinto il ricorso avverso l’ordinanza della Corte di assise di appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, a sua volta di rigetto della richiesta di sostituzione della pena dell’ergastolo con isolamento diurno (sentenza emessa dalla stessa Corte di assise di appello di Palermo l’11 ottobre 2002, definitiva il 2 febbraio 2004) con quella di trenta anni di carcere. Una richiesta avanzata “sul presupposto della violazione degli artt. 6 e 7 CEDU, così come interpretati dalla Corte EDU nel caso Scoppola contro Italia”.
Dalle indagini effettuate nel corso dell’operazione “Omega” è emerso che per un certo periodo Vito Marceca sarebbe stato il “vice capo” della “famiglia” mafiosa di Marsala. In quel periodo a capo della cosca marsalese c’era Francesco D’Amico.
“L’atto di impugnazione – scrivono i giudici della quinta sezione della Cassazione – consta di un solo, composito motivo, che ha lamentato la commissione di un errore percettivo o di fatto da parte dei giudici supremi, che non avrebbero preso in esame gli specifici motivi di impugnazione presentati dal ricorrente avverso l’ordinanza della Corte d’assise d’appello di Palermo, a cui era stato sottoposto un vizio di ultra-petizione in cui sarebbe incorsa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17248 del 2004, da cui era dipesa la mancata ammissione del Marceca al rito abbreviato all’epoca richiesto (in quanto – secondo la tesi del ricorrente – la semplice richiesta di ammissione al giudizio abbreviato introdurrebbe la rinnovazione parziale del dibattimento nel giudizio di appello, nel senso che “la tempestività della richiesta” del rito abbreviato sarebbe legata “alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, cosicchè affermare la prima significa riconoscere la seconda”); e che la Corte di merito avrebbe erroneamente ricondotto all’esercizio della funzione di nomofilachia di competenza della Corte di legittimità”. Ma per la Cassazione il ricorso “deve essere dichiarato inammissibile, perché proposto fuori dai casi consentiti e manifestamente infondato”.