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Mafia: la DIA arresta imprenditore edile, sequestrate anche due sue aziende [VIDEO] - Trapani Oggi

Castelvetrano | Video

Mafia: la DIA arresta imprenditore edile, sequestrate anche due sue aziende [VIDEO]

06 Luglio 2018 08:15, di Ornella Fulco
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Il 50enne castelvetranese Nicolň Clemente č stato arrestato dagli uomini della DIA di Trapani che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in...

Il 50enne castelvetranese Nicolò Clemente è stato arrestato dagli uomini della DIA di Trapani che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Il noto imprenditore edile, ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso, è stato anche colpito da un provvedimento di sequestro preventivo delle società "Calcestruzzi Castelvetrano" srl, attiva nel commercio di conglomerati cementizi, e "Clemente Costruzioni" srl, impegnata nell’attività di movimento terra e costruzione generale di edifici, entrambe con sede a Castelvetrano. L’operazione di stamane si inserisce nell’ambito delle numerose iniziative investigative, sia preventive sia giudiziarie, condotte dalla DIA, sotto la direzione della DDA di Palermo, tese a disarticolare la rete dei mafiosi più vicini al boss latitante Matteo Messina Denaro attraverso l’individuazione e l’eliminazione dal mercato delle imprese mafiose che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento finanziario del clan castelvetranese. Le attività d’indagine che hanno portato all’arresto di Clemente e al sequestro delle sue aziende, sono scaturite dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa e, in misura minore, da Giuseppe Grigoli, entrambi condannati in via definitiva come appartenenti alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, che hanno indicato l'imprenditore come una delle più attive espressioni imprenditoriali di quel sodalizio, capace di infiltrare e condizionare il tessuto economico locale nei settori dell’edilizia pubblica e privata e nel commercio del conglomerato bituminoso, per assicurare alla "famiglia" significative risorse finanziarie. Tratto caratteristico dell’operatività del mandamento mafioso di Castelvetrano è, infatti, la presenza al suo interno di mafiosi imprenditori che, sfruttando la forza di intimidazione che deriva all'organizzazione dall'essersi resa responsabile di gravissimi fatti di sangue, hanno finito per soffocare ogni possibilità di libera iniziativa economica nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo. Il nucleo famigliare di Nicolò Clemente - dicono gli investigatori- è stato da sempre parte dello zoccolo duro dell’associazione mafiosa attiva a Castelvetrano. Il fratello Giuseppe, associato di primissimo rango e facente parte della cerchia più ristretta e fidata degli amici di Matteo Messina Denaro, fu condannato per associazione di stampo mafioso e per alcuni omicidi, commessi in concorso proprio con il boss latitante. Pericoloso killer di Cosa nostra trapanese, Giuseppe Clemente esercitò l’attività imprenditoriale insieme al fratello Nicolò. Dopo la condanna all’ergastolo, l'uomo, afflitto da crisi depressive, si è suicidato in carcere nel 2008, proprio nel giorno del compleanno dell’amico Matteo Messina Denaro senza aver mai fatto collaborato la giustizia, circostanza che era vissuta con grande timore dall’associazione mafiosa e dalla sua stessa famiglia. Giuseppe e Nicolò sono figli di Domenico, cugino dello storico capo mafia Giuseppe Clemente, condannato per essere stato “capo decina” della famiglia mafiosa di Castelvetrano, all’epoca in cui tale sodalizio, nonché l’intero mandamento di Castelvetrano, erano capeggiati da Francesco Messina Denaro, padre di Matteo. Il legame tra la famiglia Clemente e la famiglia Messina Denaro, risalente nel tempo, risulta anche di tipo imprenditoriale nella società “Enologica Castelseggio" srl, costituita negli anni Ottanta e oggi definitivamente confiscata perché diretta espressione delle famiglie mafiose di Castelvetrano e strumento per riciclare il denaro di provenienza illecita. L’elenco dei soci, infatti, era del tutto sovrapponibile a quello dei più importanti rappresentanti delle famiglie mafiose di Castelvetrano. Le indagini hanno dimostrato che Nicolò Clemente, forte del suo rapporto diretto e privilegiato con Matteo Messina Denaro, ha nel tempo partecipato, sistematicamente, attraverso le due aziende oggi poste sotto sequestro, alla spartizione delle commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo, che avveniva all’interno di un circuito mafioso/imprenditoriale del quale facevano parte, oltre a lui gli imprenditori Giovanni Filardo, Giovanni Risalvato, lo stesso Lorenzo Cimarosa e Rosario Firenze (i primi tre condannati definitivamente per associazione mafiosa mentre l'ultimo è attualmente detenuto per lo stesso reato, a seguito di condanna in primo grado). Nicolò Clemente è risultato pienamente inserito nel contesto mafioso-imprenditoriale castelvetranese attraverso una logica spartitoria ispirata dai vertici della famiglia mafiosa (tra tutti il boss latitante e i suoi parenti in libertà) e attuata con il sistematico ricorso alla violenza e alla minaccia nei confronti dei committenti che si mostravano riottosi a piegarsi di fronte alla sua caratura mafiosa. Il controllo del territorio veniva delineato “...come quannu lu attu va pisciannu dunni va camminannu…” (come fa il gatto che urina per delimitare il proprio territorio), manifesto programmatico confessato dallo stesso Nicolò Clemente nel corso di un dialogo intercettato dagli investigatori. Tra i principali elementi probatori, richiamati nel corpo del provvedimento cautelare, spicca il rapporto di “collaborazione” di natura fiduciaria tra l'imprenditore e Vito Cappadonna, condannato per aver aiutato Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza, mettendogli a disposizione vari alloggi e fungendo da vivandiere e poi co-detenuto di Giuseppe Clemente. Assai significativa è anche la vicenda, riscostruita nel corso delle indagini, relativa ad una richiesta di “messa a posto” che Nicolò Clemente ha subito dalla famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo per dei lavori pubblici appaltati in quel territorio (secondo la regola per cui anche le imprese mafiose pagano il pizzo per i lavori pubblici appaltati in territorio di altra famiglia mafiosa) a cui l’imprenditore castelvetranese si è sottratto adducendo di essere finanziariamente impegnato nel sostentamento degli affiliati della famiglia di Castelvetrano. Attività di sostentamento che è stata a lui espressamente attribuita da Lorenzo Cimarosa nel corso di un colloquio registrato in carcere nel 2014, laddove il detenuto affermava che Patrizia Messina Denaro (arrestata dalla DIA di Trapani nel 2013), sorella del latitante, aveva ricevuto denaro da Nicolò Clemente e Rosario Firenze, cioè dagli imprenditori che in quel momento si spartivano le commesse controllate dalla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Le attività d’indagine hanno anche documentato alcuni riservati summit mafiosi a cui hanno preso parte Clemente e Dario Messina, presunto reggente della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, recentemente sottoposto a fermo nell’ambito dell’operazione “Anno Zero”, nel corso dei quali si discusse della spartizione, tra le imprese di Cosa nostra, delle commesse legate a lavori edili nel territorio del comune di Mazara del Vallo. Nel corso dell’operazione la DIA di Trapani, insieme agli uomini dello SCO e alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, ha eseguito anche diverse perquisizioni nei confronti di presunti esponenti mafiosi castelvetranesi.

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