Operazione "Visir", duro colpo a rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro [VIDEO]
Dalle prime ore di questa mattina, i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani stanno eseguendo un provvedimento di fermo, emesso dalla...
Dalle prime ore di questa mattina, i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani stanno eseguendo un provvedimento di fermo, emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 14 persone, indagate per associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi e altri reati aggravati dalle finalità mafiose. Al centro delle indagini la "famiglia" mafiosa di Marsala, di cui sono stati delineati assetti e gerarchie. Gli investigatori hanno anche documentato le tensioni interne al sodalizio per la spartizione delle risorse finanziarie derivanti dalle attività illecite e l’intervento pacificatorio - risalente al 2015 - del boss latitante Matteo Messina Denaro. In tale quadro, le investigazioni hanno fornito inediti e importanti elementi, per l’epoca, riguardanti l'operatività e la possibile presenza periodica di Messina Denaro nella Sicilia occidentale. Il boss diede ordine, attraverso un "portavoce", di dirimere i contrasti, in caso contrario "era pronto a muovere il suo esercito". I carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani, che si stavano occupando della cosca mafiosa marsalese, attraverso una intercettazione, hanno potuto ascoltare la voce dell'emissario di Messina Denaro mentre informava la "famiglia" dei voleri del boss castelvetranese. I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa prevista stamattina nella sede del Comando provinciale Carabinieri di Trapani. Aggiornamento ore 9 Sono residenti tra Marsala e Mazara del Vallo le 14 persone fermate dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani e indagate per associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, detenzione illegale di armi e munizionamento con l’aggravante del metodo e delle finalità mafiose. L’intervento costituisce un’ulteriore fase dell’articolata manovra investigativa sviluppata dal Ros, con il coordinamento della Procura di Palermo, per la cattura di Matteo Messina Denaro che, dal 2009, ha condotto all’esecuzione di 61 provvedimenti cautelari a carico della sua rete di fiancheggiatori. Al centro dell’operazione di stamane c'è il clan di Marsala, capeggiato da Vito Vincenzo Rallo che operava secondo precise direttive del boss latitante. Le indagini - dirette dai sostituti Marzella, Padova e De Leo - hanno permesso di individuarne gli assetti ordinativi e le gerarchie, evidenziando l’operatività di una "decina" radicata nella frazione marsalese di Strasatti e nel vicino comune di Petrosino. In particolare, le investigazioni hanno consentito di accertare l’esistenza di due sottogruppi di affiliati riferibili, il primo, a Nicolò Sfraga - uomo di stretta fiducia del capo della famiglia marsalese - il secondo a Vincenzo D'Aguanno che, malgrado riconoscesse l’autorità di Rallo, non sopportava le ingerenze di Sfraga nella spartizione delle risorse economiche del territorio di competenza. La frizione tra i due schieramenti aveva creato criticità nell'ambito del clan con continue conversazioni tra gli indagati che hanno permesso agli inquirenti di delineare progressivamente l’intera struttura dell’associazione criminale, evidenziando le fasi del processo di "normalizzazione" operato da Rallo nei momenti di forte tensione che, in alcuni frangenti, sembravano poter sfociare in un confronto violento tra le due fazioni. In tale ambito sono state acquisite anche risultanze di assoluto rilievo sul ruolo di Matteo Messina Denaro che, nel 2015, richiamò  al rispetto delle gerarchie interne la famiglia di Marsala, rafforzandolo con la minaccia della eliminazione fisica dei responsabili delle instabilità . Messina Denaro riteneva infatti - secondo la ricostruzione degli inquirenti - che tali turbolenze potessero costituire una minaccia alla sua latitanza nel territorio dopo gli arresti di esponenti di spicco della sua famiglia, come la sorella Anna Patrizia, Francesco Guttadauro e Girolamo (detto Luca) Bellomo, avvenuti nell'ambito delle operazioni Eden I ed Eden II. In particolare, le disposizioni del boss latitante erano state riferite da Nicolò Sfraga al capo della  "decina" marsalese nel corso di una movimentata riunione nel gennaio 2015 quando, nel riferire le volontà di Messina Denaro, aveva fornito importanti ed inediti elementi sia in ordine alla sua presenza nel territorio della provincia di Trapani, sia in merito alle dinamiche di funzionamento di Cosa nostra marsalese. L’indagine ha documentato anche il ruolo qualificato di Rallo nelle relazioni funzionali, di livello anche ultra provinciale, per la gestione di attività estorsive, in particolare con le articolazioni mandamentali di San Giuseppe Jato e Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo. Aggiornamento ore 12 A finire in manette, nell'ambito dell'operazione "Visir" (nome puramente di fantasia, hanno specificato gli investigatori) e in base al provvedimento di fermo di indiziato emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo sono stati Antonino Andrea Alagna, 38 anni, Vincenzo D’Aguanno, 57 anni, e il figlio Alessandro di 26 anni, Calogero D’Antoni, 35 anni, Giuseppe Giovanni Gentile, 43 anni, Michele Giacalone, 47 anni, Massimo Salvatore, Giglio, 41 anni, Simone Licari, 59 anni, Ignazio Lombardo, 46 anni, Michele Lombardo, 55 anni, Vito Vincenzo Rallo, 57 anni, Aleandro Rallo, 24 anni, Nicolò Sfraga, 51 anni, e Fabrizio Vinci, 47 anni. "Cosa nostra siciliana mantiene la sua unitarietà - ha detto nel corso dell'incontro con la stampa il comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello Stefano Russo - e il dialogo tra le sue articolazioni territoriali basato su comuni interessi economici". Da qui le interlocuzioni, documentate dalle intercettazioni effettuate nel corso dell'indagine, tra la famiglia mafiosa marsalese e analoghe realtà del Palermitano. Sempre dalle intercettazioni è emerso lo svolgimento di summit a livello di mandamento mirati non solo a dirimere eventuali controversie ma anche a garantire il mantenimento dello status quo dell’organizzazione criminale interessata ad infiltrarsi nel settore dei lavori pubblici, come nel caso delle opere del porto di Castellammare del Golfo, e a mettere in atto estorsioni ai danni delle attività economico-commerciali del territorio.
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