Primo Maggio, l'altroieri, ieri, oggi. E domani?
Una Festa del Lavoro tra speranze e incertezze
Domani è il Primo Maggio. Il calendario segna “rosso”, è la Festa del lavoro, o forse meglio dire dei lavoratori. La storia ci dice che la Festa nasce per festeggiare l’acquisizione del diritto  ad avere un orario “decente” di lavoro, conquista della Prima Internazionale Socialista. La storia che è di tutti, ma dentro la quale ci sono le vite di tutti noi. C’è stata quella di mio padre. Che ha vissuto il Primo Maggio nel periodo della Strage di Portella della Ginestra, dove undici lavoratori vennero uccisi dalla banda di Salvatore Giuliano al soldo dei latifondisti ( o invece fu strage di Stato, organizzata dai Servizi segreti? Su queste pagine di storia non si è ancora fatta chiarezza). Un Primo Maggio che era vissuto con grandissima partecipazione emotiva e popolare, con cortei numerosi di lavoratori con tanto di fazzoletto rosso al collo, con le bandiere rosse al vento. Corteo inclusivo, a cui partecipavano anche i lavoratori cattolici e liberali, gli stessi che pochi giorni prima, sempre congiuntamente (quanta distanza dai giorni odierni)  avevano celebrato l’Anniversario della Liberazione.
Era una festa ideologica, ma era una Festa in quanto si aveva la consapevolezza che se qualcosa si era fatta, tanto restava ancora da fare e che le divisioni non avrebbero fatto bene a nessuno. Si posero le basi per celebrazioni unitarie dei sindacati più rappresentativi, Cgil, Cisl e Uil. Poi venne il Primo Maggio della mia generazione, quella  Sessantottina e post. Qui la radicalizzazione era maggiore, il senso di appartenenza alla stessa sinistra veniva messo in discussione dall’interno.
C’era voglia di cambiamento, dopo gli anni di crisi vissuta dai nostri genitori si guardava con speranza al futuro. Lo Statuto dei Lavoratori del 1970, nel suo primo articolo “ I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”, ridisegnava la figura del lavoratore e ne tutelava le idee. In un’Italia che viveva i postumi del boom economico il poter utilizzare l’ascensore sociale, più che speranza,  è realtà ed il PrimoMaggio è ancora giorno della consapevolezza.
Partecipavo ai cortei, accanto agli anziani che raccontavano episodi della loro vita lavorativa, che si commuovevano, e mi commuovevo anch’io, nell’ascoltare le note dell’Inno dei Lavoratori.
Oggi si celebra un  Primo Maggio in continuità con quello degli ultimi anni dove i dati sui livelli occupazionali non sono confortanti. La disoccupazione viaggia su percentuali preoccupanti, il lavoro per tanti è e resta una Chimera e al Sud  chi lo cerca non lo trova e se vuole trovarlo, deve andare al Nord o all’estero. Oggi lo stato di precarietà , che è davanti agli occhi di tutti, impone una riflessione su come articolare le scelte lavorative ma soprattutto sottolinea come la politica debba farsi carico, ora e subito, di soluzioni che diano dignità a quei lavori, penso ai riders, lavoratori definiti “autonomi” che lavorano sottopagati, due euro a consegna, senza assicurazione, licenziabili.
Oggi  la Festa del Lavoro è diventata la Festa della speranza. Da 30 anni, inoltre, Cgil, Cisl e Uil organizzano a Roma, a Piazza San Giovanni, un Concerto (che la Tv trasmette quasi per intero) che dura  tutta la giornata ed a cui partecipano gruppi musicali, noti e meno noti,  ma soprattutto decine di migliaia di persone. Tra loro, da sempre, tranne uno o due anni, mio figlio maggiore. Che mi racconta come sia una giornata di festa e di partecipazione tra giovani di diversa estrazione sociale che sono accomunati dalla passione per la musica e che. nel condividere uno spazio ristretto dovuto alla massiccia presenza di ragazzi nella pur ampissima piazza San Giovanni, spesso si pongono in relazione scambiandosi idee ed esperienze diverse tra di loro. Oggi l’Inno dei lavoratori non viene eseguito da bande musicali, ma, magari anche  rivisitato,  da Band “indie” (dai Thegiornalisti allo Stato Sociale, a Canova, Motta, Calcutta, Coez etc.)  le sue note continuano a risuonare per perpetuare nella memoria di ognuno di noi un giorno di festa, a far riflettere sul perché  e cosa si festeggi. Lo si fa con strumenti diversi, ma lo si fa. Quale il Primo Maggio dei nostri nipoti? Difficile prevederlo. In primis perché le giovani generazioni fanno sempre meno figli, poi perché si va verso una Italia multietnica dove le radici della nostra storia avranno difficoltà ad attecchire. Infine, perché quella classe operaia che Elio Petri e Gian Maria Volontè volevano in Paradiso non esiste più.
La globalizzazione ha ridisegnato un mondo del lavoro diverso, con la richiesta di nuove professionalità , di fatto mettendo in discussione un modo di intendere il lavoro e quindi di dare un minimo di certezze sul futuro. Una previsione pessimistica? Forse si. L’unica consolazione, magari un po’ egoistica e triste pensarlo,  per la nostra generazione, la trovo nel titolo di una canzone dei Nomadi. “Noi non ci saremo”.
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