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Trapani | Cronaca

Processo Altamirano, sentiti lo zio di Lorenz e padre Smedile

11 Novembre 2015 17:31, di Ornella Fulco
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"Abbiamo vissuto un incubo durato sei anni, con mio fratello non si parlava di altro, solo dei problemi che aveva con la madre di Lorenz, delle sue de...

"Abbiamo vissuto un incubo durato sei anni, con mio fratello non si parlava di altro, solo dei problemi che aveva con la madre di Lorenz, delle sue denunce, delle accuse". Così ha raccontato stamane Roberto Renda, zio del piccolo Lorenz, nell'udienza svoltasi stamane davanti alla Corte di Assise presieduta da Angelo Pellino, giudice a latere Samuele Corso, del processo a carico di Aminta Altamirano Guerrero. La 34enne messicana è accusata di aver ucciso il figlioletto, che all'epoca aveva cinque anni, con una overdose di Laroxyl, il farmaco antidepressivo che il medico le aveva prescritto. Il bambino fu trovato morto in un appartamento di via Amendola la mattina del 14 luglio 2014. "Mio fratello subiva e soffriva - ha proseguito Renda - occhiali rotti, magliette strappate, colpi di bastone in testa, denunce per maltrattamento. Mio cognato, Antonino Maniscalchi, ci consigliò di stare lontani da Aminta per evitare di alimentare gli attriti". Fu da Maniscalchi, che lavora in uno degli uffici del Tribunale di Trapani, che Roberto Renda fu avvertito della morte di Lorenz e sempre da lui apprese che, la sera del 13 luglio 2014, la donna avrebbe espresso al compagno - che lavorava in Germania - la sua intenzione di "farla finita" insieme al bambino. "L'avvocato di mio fratello - ha riferito Roberto Renda alla Corte - ci consigliò di recarci al Commissariato l'indomani mattina per informare gli investigatori ma non c'è stato il tempo, la mattina dopo Lorenz era morto". Lo zio del piccolo ha smentito che il fratello Enzo e la sua famiglia avessero abbandonato a se stessi il bambino e la madre. "In diverse occasioni, quando ancora mio fratello viveva ad Alcamo ma non trovava lavoro, gli abbiamo dato dei soldi. Quando si trasferirono dal Messico li abbiamo accolti nella nostra casa. Lei non perdeva occasione per lamentarsi di mio fratello e raccontava che sul posto di lavoro veniva deriso dai colleghi. Lo accusava di essere sporco, di non voler lavorare. Poi si è allontanata da noi e non ne conosciamo il motivo. Non ci faceva neppure vedere il bambino, mio fratello non era libero di portarlo a casa nostra". Di tutt'altro tenore la situazione descritta dal secondo teste ascoltato dalla Corte, padre Stefano Smedile, parroco della chiesa Santa Maria di Gesù, che ha raccontato di una donna "distrutta dal dolore della separazione dal compagno", che "faceva la fame", sola, senza punti di riferimento, ma "dignitosa" nell'occuparsi del figlioletto dal quale non si separava mai. "Conosco Aminta da anni, ho preso a cuore la sua situazione, veniva spesso in parrocchia a confidarsi. Io la ascoltavo e cercavo di confortarla. L'abbiamo aiutata anche economicamente - ha proseguito Smedile - lei avrebbe voluto tornare in Messico ed io le dicevo di mettere da parte i soldi che le davamo per poter realizzare questo progetto. Nell'ultimo periodo prima della morte di Lorenz stava provando a trasferirsi anche lei in Germania e a ricomporre una vita familiare con Enzo Renda". Padre Smedile ha descritto Aminta Altamirano Guerrero come una madre "esemplare" per Lorenz ma "disperata" per la situazione che viveva. Il parroco fu tra i primi ad accorrere nell'abitazione di via Amendola dopo la morte del piccolo. In quell'occasione la donna gli raccontò che il bambino, la sera prima, aveva preso in mano il flacone di antidepressivo e che lei lo aveva rimproverato ma che, mentre lei dormiva, Lorenz doveva aver bevuto il contenuto della confezione che lei aveva ritrovato l'indomani mattina nel contenitore della spazzatura in cucina. Il religioso ha descritto Lorenz come un bambino "estroverso, espansivo, dalle capacità superiori rispetto alla sua età" e che "imitava molto spesso quello che vedeva fare alla madre". Smedile ha smentito le dichiarazioni rese da Antonino Maniscalchi nell'udienza precedente a quella di oggi riguardanti la conversazione che ebbero, dopo la morte del bambino, nell'ufficio parrocchiale insieme alla moglie, sorella di Enzo Renda. Secondo Maniscalchi infatti, il frate francescano avrebbe chiesto a loro se il padre di Lorenz avesse davvero un'amante - come gli aveva riferito Aminta Altamirano Guerrero - e li avrebbe informati di aver ricevuto da questa dei biglietti da consegnare al padre del bambino. Una ulteriore circostanza nodale, categoricamente smentita dal parroco, è stata la frase che - sempre secondo Maniscalchi - lui avrebbe pronunciato a proposito dell'accaduto in risposta all'affermazione della zia di Lorenz "lo ha ucciso Aminta". "Aminta voleva uccidersi insieme al bambino, è diverso", avrebbe detto Smedile ai coniugi Maniscalchi. Rilevata la discrepanza, la Corte, su richiesta dell'avvocato della difesa Baldassare Lauria, e con l'accordo del pubblico ministero Sara Morri e del legale di parte civile Pietro Maria Vitiello, ha disposto il confronto immediato tra Maniscalchi, rintracciato nel suo ufficio, e il frate. Confronto che, però, non si è rivelato utile a dirimere la questione. Entrambi i testimoni hanno confermato quanto dichiarato. Padre Smedile ha continuato a smentire di aver pronunciato le frasi e trattato gli argomenti riportati da Maniscalchi nella sua testimonianza e quest'ultimo ha ribadito di ricordare perfettamente che quelle frasi furono espresse dal religioso. Il processo proseguirà con una nuova udienza il prossimo 27 novembre.

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