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Siamo i nostri successi o i nostri fallimenti?

08 Giugno 2021 15:47, di Redazione
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Il disagio dei giovani nel competere nel mondo contemporaneo

È noto che sono due le tipologie di notizie riguardante i giovani che fanno più scalpore, quando uno di loro è un prodigio o quando l’altro a causa dei suoi fallimenti decide di porre fine alla sua vita.

Coloro i quali riescono ad eccellere sono visti come modelli da seguire, per il loro impegno, per la loro intraprendenza, per la loro caparbietà. Tra loro c’è chi ha lavorato duro, chi non si è fermato di fronte agli ostacoli, chi è nato tra libri la cultura e i privilegi. Al di là della realtà che li circonda loro sono riusciti ad essere quel di più che la società cerca, che la società elogia e mette su un piedistallo perché loro hanno “battuto tuttiâ€. Non si può non riconoscere il valore che questi ragazzi hanno dimostrato e a loro vanno i complimenti per essersi distinti. Nonostante questi siano categorie più rare che comuni però, purtroppo.

La seconda tipologia di giovani che fanno notizia è quella che fa più male, quella che invece è sempre più diffusa. Giovani che decidono di intraprendere il percorso dei loro sogni, o dei sogni che qualcun altro esige da loro. Questi ragazzi per paura e vergogna non chiedono aiuto, non riescono ad affrontare il proprio blocco fatto di parole non dette, di non riuscire a essere vicini alla figura della persona in gamba secondo i comuni stereotipi, quelli che danno le materie, si laureano in tempo, hanno una divertente vita sociale e sono apprezzate da chi li circonda. Sono coloro i quali vedono il successo come la cosa a cui aspirare e che diventa il loro incubo peggiore, fino ad arrivare al gesto più estremo perché la pressione diventa troppa: il suicidio.

Due estremi di uno spettro al cui interno però ci sono tutti gli altri, tutti coloro che invece sono nel mezzo e di cui non si parla quasi mai.

Ci sono quelli che stanno sulla fascia vicina a quell’asticella del successo che si alza ogni anno della propria vita. Perché sin dalle elementari a loro è stato insegnato che bisogna essere bravi bambini, prendere bei voti, essere giudicati favoriti, non essere rimproverati. Sono quelli che sanno ottenere i propri risultati, sgobbando un po’ di più, o riuscendo a dimostrare di avere capacità. Tutto ciò per non essere come i monelli dell’aula, quelli emarginati perché si comportano male, senza chiedersi perché lo fanno, quelli che crescendo magari si scontrano con la loro prima bocciatura già alle medie, lì dove i professori conoscono il contesto sociale dello studente e forse non riescono ad essere più di un professore che spiega semplicemente la lezione, ma qualcuno che dia aiuto e ascolto e forse una piccola considerazione.

Ci sono quelli che invece accumulano insuccessi, non sanno dare di più in quei voti che il prof di matematica alle superiori gli dà. Non sanno distinguersi e accumulano fallimenti fino all’università, non entrando nel Corso di Studi scelto per primo, investiti poi dal mondo universitario che si affronta senza conoscere un metodo per farlo, senza sapere come studiare, come chiarire i dubbi con il docente, come riuscire a non bocciare per la quarta volta un esame. Quelli che però trovano la forza di andare avanti e con il loro tempo riuscire a ottenere il loro piccolo e personale successo, quelli che hanno rinunciato al percorso scelto e lo cambiano, o si ritirano e lavorano, riuscendo a costruirsi comunque la propria vita, nonostante l’amaro in bocca di aver perso qualche battaglia.

È l’insuccesso, il fallimento, la cattiva strada che devono essere condannate? È la legge del più forte, del privilegiato, del prodigio che deve valere?

Forse quello che si deve cambiare è non pesare eccessivamente sugli estremi ma vivere di sfumature, dare la giusta importanza a tutte le tipologie di persone e contestualizzare sempre, aiutare, ascoltare, capiretutti, indistintamente. Perché non si condanna la figlia di magistrati che con i propri privilegi ha saputo sfruttare le proprie carte e costruirsi la sua vita, né non sapere affrontare o parlare del problema del suicidio che devasta più ragazzi di quelli che si ha il coraggio di dichiarare.

Non si deve vivere di estremi, dei successi degli altri o dei propri fallimenti. La vita di ognuno  non si distingue per questo, ma per le sfumature che ognuno ha.

Ed è bellissimo così.

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