Siamo i nostri successi o i nostri fallimenti?
Il disagio dei giovani nel competere nel mondo contemporaneo
È noto che sono due le tipologie di notizie riguardante i giovani che fanno più scalpore, quando uno di loro è un prodigio o quando l’altro a causa dei suoi fallimenti decide di porre fine alla sua vita.
Coloro i quali riescono ad eccellere sono visti come modelli da seguire, per il loro impegno, per la loro intraprendenza, per la loro caparbietà . Tra loro c’è chi ha lavorato duro, chi non si è fermato di fronte agli ostacoli, chi è nato tra libri la cultura e i privilegi. Al di là della realtà che li circonda loro sono riusciti ad essere quel di più che la società cerca, che la società elogia e mette su un piedistallo perché loro hanno “battuto tuttiâ€. Non si può non riconoscere il valore che questi ragazzi hanno dimostrato e a loro vanno i complimenti per essersi distinti. Nonostante questi siano categorie più rare che comuni però, purtroppo.
La seconda tipologia di giovani che fanno notizia è quella che fa più male, quella che invece è sempre più diffusa. Giovani che decidono di intraprendere il percorso dei loro sogni, o dei sogni che qualcun altro esige da loro. Questi ragazzi per paura e vergogna non chiedono aiuto, non riescono ad affrontare il proprio blocco fatto di parole non dette, di non riuscire a essere vicini alla figura della persona in gamba secondo i comuni stereotipi, quelli che danno le materie, si laureano in tempo, hanno una divertente vita sociale e sono apprezzate da chi li circonda. Sono coloro i quali vedono il successo come la cosa a cui aspirare e che diventa il loro incubo peggiore, fino ad arrivare al gesto più estremo perché la pressione diventa troppa: il suicidio.
Due estremi di uno spettro al cui interno però ci sono tutti gli altri, tutti coloro che invece sono nel mezzo e di cui non si parla quasi mai.
Ci sono quelli che stanno sulla fascia vicina a quell’asticella del successo che si alza ogni anno della propria vita. Perché sin dalle elementari a loro è stato insegnato che bisogna essere bravi bambini, prendere bei voti, essere giudicati favoriti, non essere rimproverati. Sono quelli che sanno ottenere i propri risultati, sgobbando un po’ di più, o riuscendo a dimostrare di avere capacità . Tutto ciò per non essere come i monelli dell’aula, quelli emarginati perché si comportano male, senza chiedersi perché lo fanno, quelli che crescendo magari si scontrano con la loro prima bocciatura già alle medie, lì dove i professori conoscono il contesto sociale dello studente e forse non riescono ad essere più di un professore che spiega semplicemente la lezione, ma qualcuno che dia aiuto e ascolto e forse una piccola considerazione.
Ci sono quelli che invece accumulano insuccessi, non sanno dare di più in quei voti che il prof di matematica alle superiori gli dà . Non sanno distinguersi e accumulano fallimenti fino all’università , non entrando nel Corso di Studi scelto per primo, investiti poi dal mondo universitario che si affronta senza conoscere un metodo per farlo, senza sapere come studiare, come chiarire i dubbi con il docente, come riuscire a non bocciare per la quarta volta un esame. Quelli che però trovano la forza di andare avanti e con il loro tempo riuscire a ottenere il loro piccolo e personale successo, quelli che hanno rinunciato al percorso scelto e lo cambiano, o si ritirano e lavorano, riuscendo a costruirsi comunque la propria vita, nonostante l’amaro in bocca di aver perso qualche battaglia.
È l’insuccesso, il fallimento, la cattiva strada che devono essere condannate? È la legge del più forte, del privilegiato, del prodigio che deve valere?
Forse quello che si deve cambiare è non pesare eccessivamente sugli estremi ma vivere di sfumature, dare la giusta importanza a tutte le tipologie di persone e contestualizzare sempre, aiutare, ascoltare, capiretutti, indistintamente. Perché non si condanna la figlia di magistrati che con i propri privilegi ha saputo sfruttare le proprie carte e costruirsi la sua vita, né non sapere affrontare o parlare del problema del suicidio che devasta più ragazzi di quelli che si ha il coraggio di dichiarare.
Non si deve vivere di estremi, dei successi degli altri o dei propri fallimenti. La vita di ognuno non si distingue per questo, ma per le sfumature che ognuno ha.
Ed è bellissimo così.
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