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Spending review sui farmaci. l'on. Lo Giudice critica Governo

04 Settembre 2012 11:30, di Niki Mazzara
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Trapani, 4 settembre 2012-   L’onorevole Giuseppe Lo Giudice, Vice Presidente della Commissione Sanitŕ all’Assemblea Regionale Siciliana interviene su...

Trapani, 4 settembre 2012-   L’onorevole Giuseppe Lo Giudice, Vice Presidente della Commissione Sanità all’Assemblea Regionale Siciliana interviene sull’introduzione dell’obbligo per i medici del Servizio sanitario nazionale di prescrivere nelle ricette il principio attivo e non più il nome commerciale del farmaco: Tra le recenti disposizioni del Governo Monti nell’ambito della cosiddetta «spending review» vi è l’introduzione dell’obbligo, per i medici del Servizio sanitario nazionale, di prescrivere nelle ricette il principio attivo e non più il nome commerciale del farmaco. La ratio di tale scelta, secondo quanto annunciato dallo stesso Governo, sarebbe quella di ridurre la spesa per i farmaci. Buona parte dei mezzi di informazione hanno riportato, acriticamente e senza alcun riscontro, la notizia, sposando la tesi dell’esecutivo, ma in realtà le cose stanno diversamente e il provvedimento comporta una serie di gravi problemi che non possono essere sottaciuti e che rischiano solo di creare gravi problemi oltre a far perdere numerosi posti di lavoro: 1) Lo Stato non risparmierà un solo centesimo di euro dall’obbligo di prescrivere il principio attivo piuttosto che il nome commerciale del farmaco. La maggiorazione del farmaco cosiddetto “griffato” è infatti a carico del paziente e non dello Stato. Eppure su giornali e televisioni è passato il messaggio opposto. Possibile che accada questo? 2) Mentre prima era il medico a determinare la scelta del farmaco, adesso saranno il farmacista e il paziente; quest’ultimo potrà opporsi e scegliere diversamente. Ci si chiede: quali strumenti ha, il paziente, per valutare un farmaco? La scelta del farmaco deve diventare solo una questione di prezzo? Nel momento in cui al medico si chiede di specificare solo il principio attivo, oltre alla prevedibile confusione (si pensi agli anziani), si trasferisce al paziente una responsabilità di scelta che egli non solo non ha richiesto, ma non è in grado di gestire. E, bene che vada, questa responsabilità sarà trasferita al farmacista, che si sta trasformando, suo malgrado, in un mero venditore. Ci si chiede: perché abolire la mediazione del medico e dunque dell’informatore medico- scientifico? 3) A parità di principio attivo,continua Lo Giudice,  non tutti i farmaci sono gli stessi. Cambiano, per esempio, i cosiddetti «eccipienti», la cui diversa composizione, in ragione della qualità degli stessi, può determinare l’aumento del costo del farmaco. Come farà il paziente a sapere, per esempio, quali sono i farmaci che contengono un eccipiente che, per ipotesi (peraltro niente affatto remota, vista la casistica), potrebbe causargli una reazione allergica? 4) Viene messo a rischio gravemente il ruolo dell’informatore medico scientifico del farmaco. E’ una figura insostituibile per il medico perché da lui apprende notizie fondamenti sui farmaci, gli effetti sul corpo umano, la tollerabilità, le controindicazioni, l’interazione con altri farmaci. Togliendo al medico la facoltà di indicare un farmaco piuttosto che un altro, si trasferisce al paziente una libertà di scelta che è anche rischiosa, non avendo egli alcuna nozione scientifica sui farmaci. In questo modo si vogliono trasformare gli informatori medico-scientifici da interlocutori dei medici quali sono stati fino ad oggi in venditori in rapporto con le farmacie; 5) Un farmaco non è un prodotto da supermercato. Un farmaco, sotolinea il deputato regionale,  è un elemento che aiuta la vita delle persone e spesso la salva. Dietro i farmaci che sono tutelati dal brevetto, c’è ricerca, ci sono studiosi impegnati per anni in studi, c’è un lavoro che - diciamolo chiaramente senza ipocrisia o facile demagogia - è giusto remunerare perché solo creando profitto le aziende farmaceutiche possono investire in ricerca e nello studio di nuovi farmaci. Nessuno si chiede oggi chi paga la ricerca farmaceutica. Certamente non la paga lo Stato. La ricerca farmaceutica è finanziata dalle aziende produttrici. 6) Con questo provvedimento, conclude l'on Lo Giudice,  si premia la demagogia e si mette a rischio la sopravvivenza dell'industria farmaceutica con conseguenze sugli investimenti in ricerca e produzione. La spesa farmaceutica pubblica, che rappresenta solo il 15% di quella sanitaria, è oggi chiamata a pagare il 40% dell'intera manovra. Dal 2006 sono stati persi 10 mila posti di lavoro. L’industria farmaceutica italiana è il secondo produttore in Europa; dopo la Germania, conta 65.000 addetti altamente qualificati e investe 2,4 miliardi ogni anno. Per le imprese le conseguenze saranno disinvestimenti, delocalizzazioni, ristrutturazioni, crisi aziendali, come è già accaduto, per esempio con Pfizer a Catania e Ascoli Piceno e Sigma Tau a Pomezia.

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