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Operazione "Ermes 2", tra gli indagati anche un giornalista [VIDEO] - Trapani Oggi

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Operazione "Ermes 2", tra gli indagati anche un giornalista [VIDEO]

20 Dicembre 2016 12:54, di Ornella Fulco
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Nuovo duro colpo ai fiancheggiatori del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Sono undici le persone colpite da misure restrittive, tra loro a...

Nuovo duro colpo ai fiancheggiatori del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Sono undici le persone colpite da misure restrittive, tra loro anche un giornalista di Castelvetrano. Tre le imprese sottoposte a sequestro: la Mestra srl, la cooperativa Medio Ambiente e la "My Land" srl, tutte con sede a Mazara del Vallo. Le indagini della Squadra Mobile di Trapani, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, hanno messo in luce un sistema di infiltrazione di imprese, controllate direttamente da Cosa Nostra oppure “fagocitate” con l’immissione di capitali illeciti o ancora con l'intestazione fittizia di beni a persone insospettabili, nell’esecuzione di remunerativi appalti pubblici come quello di costruzione del parco eolico "Vento di Vino" e di ristrutturazione dell’ospedale “Abele Ajello” a Mazara del vallo. Il gip Gabriella Natale del Tribunale di Palermo ha disposto la custodia cautelare in carcere per i mazaresi Epifanio Agate - figlio del defunto boss Mariano - accusato di attribuzione fittizia di beni ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, i fratelli Carlo Antonio e Giuseppe Loretta, per associazione mafiosa e attribuzione fittizia di beni, e Angelo Castelli per favoreggiamento all’associazione mafiosa di Mazara e Castelvetrano. Obbligo di dimora per il giornalista pubblicista castelvetranese Filippo Siragusa, i mazaresi Francesco Mangiaracina, Paola Bonomo, Rachele Francavilla, Nicolò Passalacqua, Andrea Alessandrino e la russa Natalya Ostashko. I provvedimenti sono frutto della prosecuzione delle indagini avviate nel 2010 la cui prima tranche si concluse con l’operazione “Ermes” che aveva fatto luce sul sistema di comunicazione di Matteo Messina Denaro. In quella occasione Vito Gondola era emerso come figura di spicco nel clan mafioso del mazarese. L'uomo,  per assicurare al boss latitante il supporto necessario, si era avvalso, tra gli altri, del sostegno dei mazaresi Giovanni Loretta (già condannato in primo grado per questi fatti), Carlo e Giuseppe Loretta e del pensionato Angelo Castelli, titolare di un autolavaggio a Mazara del Vallo dove si svolgevano incontri tra mafiosi e che gli faceva anche da autista. Giovanni Loretta aveva favorito gli incontri tra Gondola, Pietro Giambalvo, Michele Gucciardi e Domenico Scimonelli. "Dalle più recenti attività investigative - come ha sottolineato il capo della Mobile trapanese Fabrizio Mustaro - abbiamo riscontrato che erano i fratelli Giuseppe e e Carlo Loretta ad organizzare gli incontri con Vito Gondola mentre Castelli si adoperava per fare incontrare il capo della famiglia mafiosa mazarese con Agate e Carlo Loretta."Ermes 2" conferma, quindi, il pieno inserimento dei due fratelli e delle loro aziende - la Mestra e la Medio Ambiente - nel clan mafioso di Mazara del Vallo. Infatti i due utilizzavano la sede della Mestra per incontri e riunioni a cui partecipavano, oltre a Vito Gondola, Lorenzo Cimarosa, Vincenzo Giappone, Sergio Giglio, Ignazio Lombardo e Baldassare Marino. "Fondamentale per lo sviluppo dell'indagine - ha proseguito Mustaro - è stato il summit mafioso, documentato dalla Squadra Mobile, svoltosi la mattina del 2 marzo 2010 nelle campagne tra Mazara del Vallo e Castelvetrano, a cui era presente il vecchio boss Antonino Marotta (ritenuto fino alla sua morte, avvenuta nel 2013, il reggente della cosca mafiosa castelvetranese) e di Vito Gondola, di fatto reggente del clan mazarese, incontro che certamente era stato concordato anche a seguito del diretto interessamento di Matteo Messina Denaro. In quell'occasione era presente anche Carlo Loretta che aveva accompagnato Gondola e Giovanni Filardo, cugino di Messina Denaro, poi arrestato nell'ambito dell'operazione "Golem 2" del marzo 2010. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, nell'importante vertice mafioso era stata trattata la spartizione dei proventi derivanti dalla costruzione del parco eolico che Filardo si era aggiudicato con la ditta Cedelt SpA. In quell'occasione Vito Gondola era intervenuto per dirimere un contrasto fra i mazaresi Loretta, da un lato, e i castelvetranesi Cimarosa e Lo Sciuto sulle "quote" da attribuire alla famiglia di Castelvetrano e a quella di Mazara del Vallo. I due fratelli gestivano una discarica per lo smaltimento di rifiuti speciali, come l'amianto, e il recupero ambientale tramite la Mestra - di cui erano socie le moglie dei due, Grazia Maria Vassallo, moglie di Giuseppe, e Vita Anna Pellegrino, moglie di Carlo - che operava in regime di assoluto monopolio ed era in grado di condizionare slealmente le attività connesse alla edilizia pubblica e privata sul territorio di Mazara del Vallo. Da un un dialogo intercettato tra Vito Gondola e Carlo Loretta all’interno di una autofficina di Mazara, è emerso che i due erano in grado, inoltre, di avvalersi, direttamente e o indirettamente, di uomini dello Stato per conoscere particolari investigativi, eludere i controlli e salvaguardare i propri interessi economici e quelli del clan. Carlo Loretta, infatti, era riuscito a sapere che nei suoi confronti erano in corso accertamenti finalizzati al sequestro della Mestra: "Io ora accerto se sono le misure di prevenzione o se è un accertamento che stanno facendo... a Palermo”, aveva detto. Negli incontri avvenuti presso l'autolavaggio di Angelo Castelli a Mazara del Vallo, Gondola e Loretta avevano discusso dell’esecuzione di alcuni sub-appalti a Mazara e, in particolare, di alcune opere di sbancamento nei pressi della frazione balneare di Tonnarella, e presso l'ospedale "Abele Ajello" dove la Mestra, in forza di una associazione di scopo con un'altra azienda mai ratificata, riuscì a partecipare, per circa un mese, ai lavori di ristrutturazione prima della revoca del contratto da parte dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani due mesi prima dell'interdittiva emessa dalla Prefettura di Trapani nel febbraio 2014. Le ditte che si apprestavano a subentrare nel subappalto subirono una serie di atti intimidatori. In particolare, la ditta "Bruccoleri" di Como e la ditta "Territorio pulito" di Mazara del Vallo, nel marzo del 2014, subirono minacce ed attentati incendiari ad opera di ignoti per costringerle a non concorrere all’assegnazione dei lavori. Per aggirare l’interdittiva antimafia ricevuta dalla Mestra i Loretta decisero di creare una società cooperativa, la Medio Ambiente coinvolgendo nell'operazione, due dipendenti della Mestra: Anna Bonomo e Andrea Alessandrino e il giornalista pubblicista Filippo Siragusa, già dipendente di imprese operanti nel settore smaltimento rifiuti e collaboratore del Giornale di Sicilia. Dalle indagini è emerso che Siragusa, da qualche tempo, collaborava con la Mestra nel procacciare clienti per lo smaltimento di rifiuti non pericolosi e per la dismissione di manufatti in amianto. Dopo la sua costituzione, nel settembre del 2014, la Medio Ambiente aveva acquisito tutte le prescritte autorizzazioni per accedere agli appalti pubblici e per poter richiedere, di volta in volta, le autorizzazioni sanitarie per la rimozione dei materiali pericolosi. "Le intercettazioni telefoniche - ha sottolineato il questore di Trapani Maurizio Agricola - eseguite a carico dei soci della cooperativa confermano l’interesse di Filippo Siragusa nella gestione dell'impresa accanto ai Loretta e la sua conoscenza dello spessore criminale dei Loretta e del perché era stata costituita la Medio Ambiente". In un'altra occasione, sempre documentata da intercettazioni, Uno dei fratelli si era lamentato con Siragusa del "chiasso" mediatico suscitato dall'operazione Ermes e Siragusa aveva risposto. "lo sai come vanno queste cose, noi giornalisti dobbiamo fare così...". Siragusa, durante una serie di incontri con Giuseppe Loretta, aveva cercato di delineare le strategie di mercato per far “decollare” la nuova società della quale era socio e, per circa un mese dopo la costituzione, era stato anche amministratore. Per questo motivo aveva fatto confluire verso la Medio Ambiente alcune commesse che già aveva procacciato per conto della Mestra. Nel corso dell'attività investigativa è emerso anche che la Mestra violava le prescrizioni di sicurezza durante l’esecuzione di alcuni lavori con la compiacenza di professionisti locali. Quando nel novembre 2014 Carlo Loretta aveva subito un grave incidente sul lavoro, con la complicità del commercialista mazarese Filippo Frazzetta, oggi indagato, la sua posizione lavorativa presso l’INPS e l’INAL fu regolarizzata producendo documenti falsificati cosa che permise a Loretta di percepire le indennità per infortunio sul lavoro tra cui una pensione mensile di circa 460 euro. La "Ermes 2" ha consentito di documentare anche i rapporti e gli incontri tra Vito Gondola ed Epifanio Agate, figlio del boss mafioso, ormai deceduto, Mariano Agate. Era Angelo Castelli ad organizzare gli incontri tra i due mirati ad trattare delle difficoltà economiche della famiglia Agate specie dopo il sequestro della Calcestruzzi Mazara, loro azienda. Dall’indagine è emerso che Epifanio Agate, per sfuggire ai rigori della normativa di prevenzione antimafia, aveva avviato un’attività nel campo della vendita di prodotti ittici congelati - la "My Land" - insieme a Francesco Mangiaracina, cognato del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori. Questa società non aveva mancato di destare meraviglia e critiche nell’ambiente mafioso di Mazara, dovute proprio alla “scomoda” parentela di Mangiaracina. La ditta era stata intestata, in parti uguali, alle rispettive consorti, Rachele Francaviglia e Natalyia Ostashko. Era Agate ad occuparsi personalmente dell’amministrazione dell’azienda mentre mangiaracina, ben inserito nel settore della vendita dei prodotti ittici, aveva il compito del rifornirsi della merce e di contattare i grossisti a cui rivenderla. Nel tempo, però, erano insorte problematiche di carattere amministrativo e nei rapporti con le banche che avevano costretto i soci originari a intestare il 95% del pacchetto azionario delle quote della "my Land" alla Ostashko e il restante 5% a Nicola Passalacqua, uomo vicino ad Epifanio Agate nominato, per questo, amministratore della ditta. Nell’ottobre del 2015, quando i rapporti tra i soci si erano ormai completamente deteriorati, mangiaracina e la moglie avevano provato ad uscire dalla società ma non ci erano riusciti sia a causa delle esposizioni bancarie e dei debiti accumulati con i fornitori sia delle minacce di Agate. "Dall'indagine - ha commentato il questore Agricola - emerge, ancora una volta, il tradizionale interesse delle famiglie mafiose di questo territorio verso il sistema degli appalti il cui controllo passa, generalmente, o attraverso imprese gestite direttamente da affiliati oppure attraverso imprese che vengono “fagocitate” con l’immissione di capitali illeciti o, ancora, attraverso il metodo dell’intestazione fittizia di beni a persone insospettabili. Aver sequestrato tre aziende produttive nella disponibilità della cosca di Mazara del Vallo contribuisce a sottrarre denaro contante e “luoghi” per ripulirlo alla criminalità mafiosa ed elimina dal mercato soggetti economici in grado di condizionare gravemente la libertà degli appalti e le regole della concorrenza".

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