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Rissa al carcere, coinvolto anche un "imam" tunisino segnalato dal DAP

07 Aprile 2017 11:50, di Ornella Fulco
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Ci sarebbe anche il coinvolgimento di un sedicente imam tunisino di 31 anni, condannato per omicidio, attenzionato dall'aprile del 2016 per il suo car...

Ci sarebbe anche il coinvolgimento di un sedicente imam tunisino di 31 anni, condannato per omicidio, attenzionato dall'aprile del 2016 per il suo carattere carismatico e per essere diventato punto di riferimento per i detenuti di fede islamica, nella rissa scoppiata lo scorso 5 aprile al reparto "Mediterraneo" della Casa circondariale di Trapani conclusasi con il ricovero in ospedale di un nigeriano con una prognosi di 15 giorni per una ferita su un gluteo. La presenza nelle carceri italiane, e anche presso l'Istituto di pena trapanese, di detenuti musulmani da tenere particolarmente d'occhio perchè ritenuti "pericolosi" non solo per i loro reati - tra di loro, come riporta un articolo apparso su Il Giornale lo scorso mese di gennaio - vi sono omicidi, rapinatori, stupratori e spacciatori - ma per il rischio di radicalizzazione e proselitismo è un rischio concreto sul quale anche il personale della Polizia Penitenziaria viene specificamente preparato. Attualmente sono più di 7.600 le persone di fede musulmana recluse nelle carceri italiane. Nel dossier - datato ottobre 2016 - sono elencati generalità, origine dei 148 sedicenti imam, in gran parte marocchini, tunisini e algerini, che controllano la preghiera nelle carceri italiane ma anche le note con cui vengono segnalati e descritti dagli operatori dell'autorità carceraria. Il documento - come riporta ancora Il Giornale - è uno degli undici allegati "segreti" della relazione sul "Contrasto della radicalizzazione violenta in carcere di matrice confessionale" del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria che il premier Paolo Gentiloni ha presentato nel gennaio scorso a proposito della diffusione dell'integralismo negli Istituti di pena. Sarebbe stato proprio il 31enne tunisino ad organizzare la rappresaglia avvenuta nel reparto "Mediterraneo" contro un detenuto nigeriano "reo" di aver disturbato altri detenuti che stavano seguendo un corso di alfabetizzazione. Nella rissa che ne è seguita un altro detenuto nigeriano, intervenuto a difesa del connazionale, avrebbe avuto la peggio dopo essere stato colpito con un bastone appuntito. L'episodio non ha mancato di provocare la reazione dei sindacati della Polizia Penitenziaria tra cui il Sappe che, in una nota del segretario generale Donato Capece, chiede all'Amministrazione penitenziaria di adottare "con tempestività urgenti provvedimenti, a cominciare dall’assumere seri provvedimenti disciplinari e penali verso i detenuti responsabili dei gravi fatti accaduti nel carcere”. Lo stesso sindacato ricorda che, nel 2016, nella Casa circondariale di Trapani, si sono verificati “37 atti di autolesionismo, un tentato suicidio, sventato in tempo dalla Polizia Penitenziaria, 70 colluttazioni e 17 ferimenti". Secondo il Sappe "da quando sono stati introdotti nelle carceri vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto sono decuplicati gli eventi critici in carcere”. Il sindacalista sottolinea che, durante le ore in cui, per legge, i detenuti possono stare fuori dalle loro camere, spesso non hanno nulla da fare e non sono impegnati in attività lavorative o trattamentali e che sarebbe questa circostanza, spesso, a dare origine ad aggressioni e diverbi. Dura la critica ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria: “In tutto questo contesto, - sottolinea il leader del Sappe - il capo dell’Amministrazione penitenziaria Consolo si preoccupa di cambiare taluni vocaboli ad uso interno nelle carceri e non a mettere in campo adeguate strategie per fronteggiare questi gravi eventi, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati proprio dal Dap. Ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella e ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalla Polizia Penitenziaria" il cui organico, secondo il Sappe, è manchevole di ben 7.000 unità. Anche l'UGL è critica sull'applicazione, nelle carceri italiane, della cosiddetta "Sentenza Torreggiani", emanata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo secondo cui ad ogni detenuto vanno "assicurate condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana e le modalità di esecuzione della misura detentiva non devono sottoporre l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione". Secondo Franco Fasola, responsabile dell'Utl-Ugl di Trapani: "la libera circolazione dei detenuti con le celle aperte e la carenza di agenti di Polizia Penitenziaria è la conseguenza della rissa con feriti, in una struttura dove i detenuti sono 510 in totale e con un organico di 285 agenti su una dotazione di 350”. “Siamo preoccupati per quanto accaduto e per quello che potrebbe tornare a succedere – conclude Arcangelo Poma, responsabile Ugl Polizia Penitenziaria di Trapani – in una struttura carceraria che ha carenza di organico e che non garantisce i livelli di sicurezza del personale operante. Più volte abbiamo sottolineato la necessità di completare l’organico anche in virtù di una nuova sezione operante nella struttura penitenziaria”.

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