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Cronaca

Giallo sul decesso di un detenuto nel carcere di Termini Imerese, residente a Marsala

25 Gennaio 2021 08:28, di Laura Spanò
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Il legale, Fabio Sammartano, del foro di Trapani, dice che: "Il suo assistito aveva da poco iniziato a collaborare"

Si tinge di giallo il decesso di un detenuto avvenuto ieri mattina nel carcere di Termini Imerese. É stato infatti rinvenuto privo di vita nella sua cella, Chiheb Hamrouni 29 anni, tunisino, ma residente a Marsala, tra i principali imputati nell'ambito dell'indagine “Scorpion Fish”, (traffico di migranti e contrabbando di sigarette), portata a termine da Dda e Guardia di finanza il 6 giugno 2017.

Lo scorso 4 giugno, la seconda sezione della Corte d’appello di Palermo (presidente Angelo Pellino), confermandone la condanna, gli aveva ridotto la pena da 7 anni e 4 mesi di carcere a sei anni e mezzo più 116 euro di multa.

Il legale, Fabio Sammartano, del foro di Trapani, dice che: "La salma è stata posta sotto sequestro, a disposizione dell’autorità giudiziaria di Termini Imerese, il pm è Giacomo Barbara, e verrà eseguita l’autopsia. La direzione del carcere ha avvisato il difensore riferendo di un arresto cardiaco. Tuttavia gli stessi uffici hanno avvisato anche i familiari abitanti nel trapanese precisando loro di un’aggressione subita in cella con circostanze ancora da chiarire. Il detenuto - conclude il legale - aveva da poco reso importanti dichiarazioni nell’ambito di altre indagini della Dda palermitana in materia di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e contrabbando transnazionale di tabacchi lavorati esteri nell’ambito delle operazioni Scorpion fish 2 e Scorpion fish 3".

L’associazione, capeggiata da pericolosi pregiudicati tunisini, operava prevalentemente mediante trasporti veloci, per i quali utilizzava gommoni carenati con potenti motori fuoribordo ed esperti scafisti, nel braccio di mare tra la provincia tunisina di Nabeul e quella di Trapani, consentendo agli immigrati clandestini di raggiungere, in poco meno di 4 ore di navigazione, le coste italiane.

Ogni viaggio, per il quale venivano imbarcate dalle 10 alle 15 persone, con costi tra i 3 000 e i 5 000 euro a testa, prevedeva anche il trasporto di sigarette di contrabbando, destinate al mercato nero italiano ed in particolare a quello palermitano.

Per la conduzione del lucroso traffico, che poteva fruttare complessivamente tra i 30.000 e i 70.000 euro a viaggio, era stata predisposta una efficiente rete organizzativa, che contava sull’operato di elementi tunisini, italiani e marocchini, in posizione subordinata, che si occupavano di fornire ai clandestini un vero e proprio servizio “shuttle” dalle spiagge di sbarco sino alle basi logistiche dell’organizzazione, laddove una volta rifocillati e forniti di vestiario i migranti potevano liberamente raggiungere le destinazioni desiderate. Inoltre, il sodalizio si occupava della ricezione e stoccaggio delle sigarette di contrabbando, nonché della loro successiva collocazione presso le reti di minuta vendita che, nello specifico caso, facevano capo ad una donna di nazionalità italiana, identificata quale vertice di una più ampia rete illegale di vendita di prodotti di contrabbando destinati al mercato palermitan o ed anch’essa destinataria di misure restrittive della libertà personale

Le attività di monitoraggio investigativo, hanno appurato che, nell’ambito del gruppo delinquenziale, operavano anche alcuni soggetti con orientamenti tipici dell’ islamismo radicale di natura jihadista, i quali palesavano atteggiamenti ostili alla cultura occidentale anche mediante propaganda attuata attraverso falsi profili attivati su piattaforme “social”.

In una conversazione intercettata, infatti, tra il promotore dell’organizzazione e uno dei sodali, si è apprezzata l’intenzione di quest’ultimo di recarsi in Francia ove avrebbe compiuto “azioni pericolose a seguito delle quali avrebbe potuto non fare ritorno”, invitando pertanto l’interlocutore a pregare per lui.

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