Sorella Sanità.Figura centrale e perno di tutta l'indagine secondo il giudice, «l'avvocato Fabio Damiani»
Una guerra a suon di mazzette e appalti. Bande fameliche sulla polpa grassa della sanità siciliana
«Quando abbiamo cambiato la busta e loro hanno fatto il ribasso... e lo sapevano...». Così parlava Fabio Damiani, il direttore generale dell’Asp di Trapani, finito in carcere nell’operazione «Sorella sanità », che ha disvelato un vasto sistema corruttivo. Il riferimento è alla gara bandita dalla Asp di Palermo del 15 dicembre 2015 per l’affidamento dei servizi integrati di gestione e manutenzione delle apparecchiature elettromedicali del valore complessivo di 17.635.000 euro in favore di Tecnologie Sanitarie Spa, influendo sulle valutazioni delle offerte dei concorrenti in modo da determinare l’aggiudicazione dell’appalto all’impresa. Nelle fasi di gara Damiani, nella qualità di presidente della commissione di gara, e il suo faccendiere Salvatore Manganaro - entrambi finiti in carcere, «hanno sostituito - si legge nell’ordinanza - «la busta relativa all’offerta economica presentata da Ts per consentire alla ditta di praticare un ribasso evidentemente ulteriore rispetto a quello della offerta originaria, che ha consentito l’aggiudicazione dell’appalto all’impresa di Francesco Zanzi, 56 anni, di Roma, amministratore delegato della Tecnologie Sanitarie Spa, da oggi ai domiciliari.
Una guerra a suon di mazzette e appalti. Bande fameliche sulla polpa grassa della sanità siciliana. Da una parte l’affiato tandem - quello più organizzato e incisivo - Fabio Damiani, direttore generale dell’Asp di Trapani, e il suo faccendiere Salvatore Manganaro, entrambi in carcere, con il secondo che - all’interno di contatti prudenti e linguaggi in codice - chiamava il primo «sorella» (da qui il nome dell’operazione della 'Sorella sanita«). Dall’altra quella composta dal coordinatore regionale anti-Covid, Antonino Candela, il presunto paladino della legalità sotto scorta, e il suo uomo di fiducia Giuseppe Taibbi.
Figura centrale e perno di tutta l’indagine resta, secondo il giudice, «l'avvocato Fabio Damiani» che, attraverso un «patto di ferro» assolutamente stabile e duraturo con Manganaro, «pilotava», «orientava» e condizionava tutte le gare di appalto, del valore anche di centinaia di milioni di euro, alla sua attenzione, favorendo anche in gare con lotti dal valore eccessivo gli accordi sotto banco tra alcune imprese, che «avevano così la strada spianata per ripartirsi le aggiudicazioni». Manganaro chiamava Damiani «amore» e lo indicava con i terzi come la «sorella», e gli forniva sim card riservate, addirittura spedite con mittente anonimo, per le loro comunicazioni in condizioni di assoluta riservatezza, una volta avuto sentore di possibili indagini.
 Damiani si dimostrava «alla spasmodica ricerca di appoggi politici per ottenere, alla scadenza del suo, un nuovo incarico» (arrivato a dicembre 2018 con la nomina all’Asp di Trapani), «così dimostrando di condividere con l’odiato nemico Candela le stesse opinioni circa il mercanteggiamento delle importanti cariche pubbliche rivestite con la politica, nell’ottica precipua del do ut des, in una diffusa e inquietante situazione di inquinamento degli appalti pubblici della sanità della Regione Sicilia».
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