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La DIA esegue sequestro preventivo di beni del commerciante d'arte Becchina [VIDEO] - Trapani Oggi

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La DIA esegue sequestro preventivo di beni del commerciante d'arte Becchina [VIDEO]

15 Novembre 2017 10:25, di Ornella Fulco
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Beni per un valore di svariati milioni di euro sono stati sequestrati dagli uomini della DIA a Giovanni Franco Becchina, noto commerciante internazio

Beni per un valore di svariati milioni di euro sono stati sequestrati dagli uomini della DIA a Giovanni Franco Becchina, noto commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico, originario di Castelvetrano. L'imprenditore è stato titolare, in passato, di una galleria d’arte a Basilea, in Svizzera, e di aziende operanti in Sicilia nei settori del commercio di cemento, nella produzione e commercio di prodotti alimentari e olio d’oliva esportato con successo soprattutto all’estero. Il provvedimento di sequestro preventivo è stato emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani a seguito della richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica distrettuale di Palermo. Secondo la ricostruzione effettuata dagli investigatori della Sezione DIA di Trapani, incaricati delle indagini, per oltre un trentennio Giovanni Franco Becchina avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati clandestinamente a Selinunte, il più importante sito archeologico della Sicilia, da tombaroli al servizio di Cosa Nostra. Alle indagini ha collaborato la polizia giudiziaria svizzera, attivata dalla Procura della Repubblica di Palermo con rogatoria internazionale. A gestire le attività illegali legate agli scavi clandestini ci sarebbe stato l’anziano patriarca mafioso Francesco Messina Denaro poi sostituito dal figlio Matteo. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, ci sarebbe stato proprio Francesco Messina Denaro dietro il furto dell'Efebo di Selinunte, statuetta di grandissimo valore storico archeologico trafugata negli anni Cinquanta. Che Becchina fosse stato impegnato in un fiorentissimo traffico internazionale di reperti archeologici, di durata trentennale, è stato attestato nella sentenza del 10 febbraio 2011 del gup di Roma, mentre l’esistenza di interessi economici convergenti tra il commerciante d'arte ed esponenti di spicco del clan mafioso castelvetranese è stata accertata, in via definitiva, dal Tribunale di Agrigento che, al termine del procedimento di prevenzione celebratosi a carico dell'imprenditore mafioso Rosario Cascio, con decreto del 21 giugno 2011 ha disposto, tra l’altro, la confisca della "Atlas Cementi" S.r.l., società costituita nel 1987 proprio da Becchina, e della quale Cascio era entrato a far parte nel 1991. Gli inquirenti hanno anche acquisito le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia - Rosario Spatola , Vincenzo Calcara, Angelo Siino e Giovanni Brusca - che confermano tali contatti.
Emigrato dalla natia Castelvetrano in Svizzera, dopo aver subìto una procedura fallimentare, nel 1976 Becchina trovò lavoro come impiegato in una struttura alberghiera a Basilea. In seguito ha avviato l’attività di commercio di opere d’arte e reperti archeologici con la ditta "Palladion Antike Kunst". Già nel 1992, sulla base delle dichiarazioni rese da Spatola e Calcara, che lo indicavano come vicino alle "famiglie" mafiose di Castelvetrano e Campobello di Mazara, l'imprenditore era stato indagato per concorso in associazione mafiosa. A metà degli anni Novanta, divenuto ormai un affermato uomo d’affari, Becchina è tornato a vivere stabilmente a Castelvetrano dove ha avviato una serie di attività economiche ed effettuato rilevanti investimenti. E' del 1987 la costituzione della "Atlas Cementi" S.r.l., società con sede a Mazara del Vallo, che si occupava di "importazione, produzione, commercio all’ingrosso e al minuto di cemento, lavorazione e trasformazione dei prodotti necessari per la sua produzione, commercio di materiale edile, costruzione di opere pubbliche, compravendita di immobili ed esercizio di impresa portuale”. A partire dal 1991 nella società è subentrato, come socio di riferimento e amministratore, Rosario Cascio, che, in breve tempo, la portò ad essere una delle più importanti e redditizie dell’intera Sicilia. Il compendio aziendale e l’intero capitale sociale della "Atlas Cementi" S.r.l. sono stati oggetto di confisca di prevenzione, nell’ambito del procedimento instaurato a carico dell'imprenditore conclusosi con decreto del 21 giugno 2011 dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Agrigento.
Nel 2001, Becchina - che già a partire dal 1979 era stato più volte denunciato per detenzione illegale di reperti d’interesse storico artistico - era rimasto coinvolto in una vastissima indagine giudiziaria della Procura della Repubblica di Roma perché ritenuto a capo di un’agguerrita organizzazione criminale dedita, da oltre un trentennio, al traffico internazionale di reperti archeologici, per la gran parte provenienti da scavi clandestini di siti italiani, esportati illegalmente in Svizzera per essere successivamente immessi sul mercato internazionale, anche grazie alla complicità dei direttori di importanti musei stranieri. Nell’ambito di quel procedimento erano stati individuati e sequestrati a Basilea, a seguito di rogatoria internazionale, cinque magazzini dove erano custoditi migliaia di reperti archeologici risultati provenienti da furti, scavi clandestini e depredazioni di siti, oltre che un archivio con più di tredicimila documenti (fatture, lettere indirizzate agli acquirenti, immagini fotografiche di reperti, etc.) relativi all’attività di commercio di opere d’arte e reperti condotta da Becchina. Quest’ultimo era stato sottoposto a fermo e, in seguito, a misura cautelare ma non aveva riportato alcuna condanna perchè, nel frattempo, i reati contestatigli si erano estinti per prescrizione.
Nell’ambito di quelle indagini vennero sentiti i collaboratori di giustizia Siino, Brusca e Geraci. Brusca, in particolare, nel confermare gli interessi economici dei Messina Denaro nel traffico dei reperti archeologici, riferiì che fu lo stesso Riina a indirizzarlo da Matteo Messina Denaro quando, nei primi anni Novanta, ebbe necessità di procurarsi un importante reperto archeologico che avrebbe voluto scambiare con lo Stato italiano per ottenere benefici carcerari per il padre. A dire di Brusca i trafficanti d’arte legati a Messina Denaro avrebbero avuto la loro base in Svizzera. Inoltre, secondo quanto riferito da Francesco Geraci, Matteo Messina Denaro avrebbe voluto avviare delle attività economiche a Basilea impiegando proventi delle attività illecite della famiglia mafiosa. Sempre nella città elvetica, secondo diverse risultanze giudiziarie, il boss latitante si sarebbe recato insieme ad altri appartenenti alla sua cosca mafiosa per acquistare illegalmente armi da guerra.
Nelle carte d’indagini risalenti agli anni Novanta, si dà anche atto dell’esistenza di contatti telefonici tra utenze in uso al boss castelvetranese e l’utenza svizzera in uso a Becchina.
Il collaboratore di giustizia marsalese Mariano Concetto ha dichiarato, a sua volta, di aver ricevuto l’incarico dai vertici del suo mandamento mafioso di trafugare il famoso "Satiro danzante", reperto archeologico conservato a Mazara del Vallo. Ad ordinare il furto sarebbe stato Matteo Messina Denaro che avrebbe poi provveduto a commercializzarlo attraverso sperimentati canali svizzeri.
Da ultimo, poco prima di morire, il collaboratore di giustizia castelvetranese Lorenzo Cimarosa ha parlato dei rapporti esistenti tra Becchina e Matteo Messina Denaro: informazioni che gli avrebbe riservatamente rivelato Francesco Guttadauro, nipote prediletto (attualmente detenuto per mafia) del boss latitante.
Il provvedimento di sequestro riguarda le aziende "Olio verde" s.r.l., "Demetra" s.r.l. "Becchina&Company"s.r.l., oltre a terreni, conti bancari, automezzi, e immobili, tra i quali il castello Bellumvider di Castelvetrano, la cui edificazione si fa risalire a Federico II, nei secoli successivi eletto a residenza dei principi di Castelvetrano. L'abitazione di Becchina, nell’antica tenuta di caccia della famiglia Tagliavia-Aragona-Pignatelli, è stata sottoposta a perquisizione da parte degli uomini della DIA.
"Difficile quantificare il valore complessivo dei beni - dicono gli investigatori - di interesse storico-architettonico che certamente a svariati milioni di euro".

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