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Guardia di Finanza Bologna. Fallimenti pilotati e riciclaggio, anche Trapani tra le città coinvolte

13 Luglio 2023 07:28, di Laura Spanò
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Arresto e obbligo di dimora per i due toscani, la società alcamese utilizzata come cartiera

AGGIORNAMENTO - Ad Alcamo è finita nelle indagini una società dedita all’edilizia e a tanti altri servizi che, secondo l’accusa, avrebbe fatto da ‘cartiera’, vale a dire avrebbe emesso fatture per due milioni di euro per servizi mai effettivamente prestati in favore, soprattutto, di supermercati. Arresto e obbligo di dimora per i due toscani, titolari della società che ha la sede nel territorio alcamese.

Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a nuove società riconducibili all’associazione pregiudicando, fra l’altro, la riscossione coattiva da parte dell’Erario per oltre tre milioni di euro di tributi. Gli ingenti proventi illecitamente accumulati venivano re-investiti in nuove iniziative imprenditoriali oppure trasferiti – per la loro successiva “ripulitura” – a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc, come quelle della società con sede ad Alcamo.

C'è anche Trapani tra le 15 città italiane coinvolta nell'operazione del comando provinciale della Guardia di Finanza di Bologna che ha eseguito - su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica del capoluogo emiliano-romagnolo - un decreto di sequestro preventivo di beni per oltre 32 milioni di euro.

Ad emetterlo è stato il gip Andrea Salvatore Romito che ha colpito un sodalizio criminale dedito alla commissione di reati fallimentari e tributari nonché al riciclaggio di proventi illeciti. Disposte 25 misure cautelari, 32 persone sono state denunciate e 15 arrestate. Riciclaggio, evasione, trasferimenti su banca clandestina, prostituzione, queste le accuse a vario titolo. Le indagini e le perquisizioni sono state effettuate a Bologna ed ancora: Brescia, Milano, Monza, Napoli, Parma, Reggio Emilia, Roma, Torino, Venezia e Verona.

Fallimenti pilotati e riciclaggio, al palo bancarottieri seriali: sullo sfondo la banca segreta cinese.

L’organizzazione, come ricostruito dagli inquirenti, una volta subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario dell’hinterland bolognese - composto da una holding e altre tre s.r.l. sottoposte al suo controllo - nel settore della dermo-cosmesi e della G.D.O. (con ben 32 supermercati dislocati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia), ha effettuato vere e proprie operazioni di “sciacallaggio”, cagionandone il dissesto doloso.

Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a new-co riconducibili all’associazione bloccando quindi la riscossione coattiva da parte dell’Erario per 3,3 milioni di euro di tributi.

Tale gestione della catena di supermercati ha permesso agli indagati di lucrare sul personale, assunto e somministrato, attraverso società di “comodo” che hanno compensato i contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro.

I proventi illeciti accumulati sono stati re-investiti in nuove imprese, tra cui l’acquisto di un noto prosciuttificio del parmense, quindi il denaro veniva trasferito, per essere "ripulito", a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari.

Tra queste spiccano tre “cartiere”, di Milano, amministrate da persone di etnia cinese irreperibili che, in meno di un anno, hanno emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane realmente esistenti per 7 milioni di euro, e ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro.

Dagli accertamenti "è emerso che i cinesi implicati erano inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi illeciti, attraverso canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare anche i controlli anti-riciclaggio e consistente in meccanismi “triangolari” di compensazione del denaro movimentato che ricalcano l’operatività della cosiddetta Chinese underground bank”, fa sapere la Guardia di Finanza. Si tratta di una banca clandestina con "sedi" in diverse città italiane, da nord a sud, che dirotta miliardi di euro provenienti da operazioni illecite verso la Cina, come in questo caso. 

Trait d’union tra i membri della consorteria e gli asiatici, erano due coniugi (l’una cinese, l’altro italiano) residenti nell’aretino e implicati anche in un florido “giro” di prostituzione di giovani
connazionali della donna.

A testimonianza dell’estrema pericolosità e pervicacia criminale del sodalizio, i militari hanno ricostruito come lo stesso, nell’ultimo periodo, avesse rivolto la propria attenzione su un nuovo target, ossia una storica società ittica nel tarantino dotata di un consistente patrimonio, ma sovraindebitata e in crisi di liquidità, in procinto di essere “saccheggiata”. L’attività si inquadra nel più ampio dispositivo di polizia economico-finanziaria e testimonia l’impegno della Guardia di Finanza per la tutela dell’economia legale, a garanzia del corretto versamento delle imposte all’Erario nonché a salvaguardia dell’imprenditoria rispettosa delle regole, e per la repressione di fenomeni di inquinamento del tessuto economico sano.

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