Mattarella ricorda il giudice Giacomelli ammazzato a Locogande
La morte di Giacomelli per anni cadde nell'oblio
«La mattina del 14 settembre 1983, in un brutale agguato di stampo mafioso, nei pressi della sua abitazione di Locogrande in provincia di Trapani, veniva assassinato Alberto Giacomelli, magistrato da poco collocato in pensione. Profondo conoscitore della realtà siciliana, Giacomelli, magistrato rigoroso e preparato, ha pagato con la vita l’impegno nell’azione di contrasto dei fenomeni criminali per l’affermazione del primato della legalità , obiettivo al quale ha improntato l’esercizio della sua lunga attività professionale - scrive in un messaggio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella - Desidero rinnovare i sentimenti di partecipazione e vicinanza della Repubblica ai suoi familiari e a quanti lo hanno conosciuto e stimato e che in questi anni ne hanno tenuta viva la memoria, stimolo a una coscienza civile impegnata nell’attuazione dei principi della Carta costituzionale».
Quel 14 settembre 1983 la mafia uccideva un “Uomo perbene”, Alberto Giacomelli, 69enne, Presidente della Sezione del Tribunale di Trapani “Misure di Prevenzione”. Il magistrato fu ucciso per avere disposto, il sequestro di una casa e di un terreno di proprietà di Gaetano Riina, fratello del boss Salvatore.
Quando viene ucciso a Locogrande, Giacomelli, non esercita più le funzioni di magistrato; è in pensione da quindici mesi. Quel giorno è a bordo della sua Fiat Panda. Attraversa la strada di campagna che costeggia vigneti e uliveti che si affacciano sul mare per poi immettersi sulla provinciale che conduce a Trapani. Gli assassini lo costringono a fermarsi e a scendere dall'auto. Tre pallottole, due colpiscono il giudice alla testa e all'addome che muore. Per gli investigatori, rimane per anni un delitto senza movente. Non è un “magistrato d'assalto”, non si è quasi mai occupato di vicende di mafia, conduce una vita tranquilla.
In un primo processo, celebrato davanti alla Corte d'Assise di Trapani, per il fatto è condannata una banda di giovani “balordi”, accusati da un (falso) pentito di aver ucciso per vendetta. La “banda” sarà assolta in appello. La svolta arriva anni dopo, con le rivelazioni di un collaboratore Vincenzo Sinacori. Giacomelli, dice Sinacori, è stato ucciso per “una questione di famiglia” ma non “famiglia” nel senso di Cosa Nostra, ma “famiglia di sangue”. Giacomelli nel gennaio del 1985, quale Presidente della sezione per le misure di prevenzione, aveva confiscato l'abitazione di Gaetano Riina, fratello di Totò, applicando, tra i primi, la legge “Rognoni-La Torre”.
Il 9 settembre del 1987 i Rima impugnano il sequestro e Gaetano cerca di mantenere il possesso del bene facendosi nominare “affidatario”. Ma il tentativo fallisce e l'anno successivo Giacomelli viene ucciso. Quale mandante dell'omicidio Totò Rima è stato condannato in via definitiva all'ergastolo. Chi ha sparato è rimasto indenne. C’è una indicazione del pentito di Paceco Francesco Milazzo. I nomi di chi avrebbe ucciso il giudice Giacomelli sono scritti tra le otto pagine della sentenza che ha assolto il capo mafia Vincenzo Virga. Milazzo parla di un «summit» per organizzare il delitto
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