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Matteo Messina Denaro è uno dei latitanti più ricercati in Europa e al mondo
Compie oggi 60 anni Matteo Messina Denaro, l’ultimo padrino di cosa nostra ancora in libertà, tra i latitanti più pericolosi d'Europa e del Mondo. Sessanta tanti quanti ne ha compiuto anche il suo eroe Diabolik. Di Matteo Messina Denaro, non si hanno foto segnaletiche né impronte digitali. Se un giorno venisse fermato, potrebbe essere riconosciuto solo attraverso l'esame del Dna.
Classe 1962, è nato il 26 aprile a Castelvetrano, figlio di Francesco e Lorenza Santangelo. Un fratello Salvatore ed una sorella Patrizia, finiti in prigione in una operazione antimafia effettuata nel dicembre 2013.
La casa della sorella era stata definita dagli inquirenti ‘la stazione di posta del fratello latitante’. Ma nel tempo sono finiti in carcere nipoti e cugini, gregari e fiancheggiatori del boss. Matteo Messina Denaro appartiene alla generazione di mafiosi successiva a quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Conosciuto anche come “U siccu, o diabolik come il suo fumetto preferito (come lui avrebbe voluto farsi montare due mitra nel frontale della sua 164, ndr), è considerato capo e rappresentante indiscusso della mafia trapanese.
E’ l’ultimo grande boss mafioso latitante che ha goduto (e gode) di una fitta rete di protezione nel trapanese anche grazie all’enorme disponibilità di soldi.
Diventa uccel di bosco nel giugno del ’93 su di lui un ordine di arresto per 4 omicidi. “Non pensare più a me, non ne vale la pena” - scriveva alla fidanzata progettando la fuga e poi continuava - “È iniziato il mio calvario, e a 31 anni, e con la coscienza pulita, spero tanto che Dio mi aiuti”.
Da latitante è riuscito ad avere due figli, una ragazza di cui si conosce anche la madre, e un maschio. Le uniche certezze dell’esistenza di quel bambino, nato tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 in un triangolo compreso tra i Comuni di Partanna, Castelvetrano e Campobello, starebbero nelle intercettazioni rubate ai familiari del boss, che ne parlano più di una volta, facendo capire persino che il padre si sarebbe pure arrabbiato e avrebbe chiesto la prova del Dna.
È stato Matteo Messina Denaro a creare a Trapani la mafia infiltrata nell’economia, nelle imprese, nelle banche a farla diventare una mafia imprenditrice. Dentro le istituzioni, c’era e c’è, la cassaforte di Cosa Nostra, lo confermano i maxi sequestri di milioni di euro, tutti recano il sigillo del super latitante.
La mafia trapanese che un tempo ha saputo sparare oggi è sommersa, vive dentro le imprese, essa stessa è impresa, una volta faceva eleggere i politici, oggi elegge mafiosi destinati a diventare politici, è rappresentata da mafiosi dalle doti imprenditoriali, manager del commercio e del cemento. Comune denominatore: Matteo Messina Denaro, quello che si vantava che da solo aveva riempito un intero cimitero per i suoi morti ammazzati, comprese quelle delle stragi mafiose del 1993 di Roma, Milano e Firenze.
Matteo Messina Denaro guida la mafia che è stata capace di intercettare quei fondi pubblici che sono arrivati per anni in una provincia povera ma che, invece di diventare ricca si è ritrovata ogni giorno sempre più povera nonostante i finanziamenti pubblici giunti. Matteo Messina Denaro continua ancora oggi ad essere onorato e rispettato come un “Dio” da tutta la consorteria. Vale la pena ricordare come in una operazione antimafia della polizia “Golem” - uno degli indagati intercettato diceva all’altro interlocutore al telefono di essere propenso a lasciare moglie e figli pur di onorare ed aiutare il boss latitante.
Il padre Francesco Messina Denaro
Matteo finì latitante l'anno dopo il padre. Don Ciccio era diventato capomafia della provincia di Trapani a ridosso degli anni ’80. “In una cantina dei cugini Ignazio e Nino Salvo, durante una riunione – racconta il pentito marsalese Antonino Patti – Francesco Messina Denaro venne eletto capo provinciale”. Negli anni precedenti, il capo era stato invece Nicola Buccellato di Castellammare, che però era finito in carcere ed era stato “posato” nel 1983.
Nella sua latitanza, durata otto anni, Don Ciccio Messina Denaro era stato accusato di vari omicidi, con diverse condanne (tra le quali un ergastolo nel 1997).
Don Ciccio Messina Denaro quando fu fatto trovare morto a ridosso di una trazzera di campagna, aveva le mani giunte, il vestito scuro, i mocassini quasi nuovi ed un cappotto di astrakan addosso. “Sulu mortu lu putistivu pigghiari”, aveva urlato la moglie Lorenza Santangelo.
Le Stragi Falcone e Borsellino e il suo coinvolgimento
È una delle “menti” delle stragi di Falcone e Borsellino. Matteo Messina Denaro «partecipava e ideava un programma criminale teso a destabilizzare le istituzioni e concorreva a deliberare l’esecuzione del piano di uccisione del dottor Falcone». Ha sostenuto la strategia terroristica mafiosa di Riina e l’attacco allo Stato, al quale i Corleonesi avevano dichiarato guerra. Ed il capomafia è stato uno snodo della trattativa Stato-mafia.
Sono alcuni dei punti su cui si sviluppa la lunga motivazione della sentenza di condanna di Matteo Messina Denaro. La Corte d’Assise di Caltanissetta aveva inflitto l’ergastolo a ottobre 2020 a Messina Denaro per le stragi del 1992, così come aveva richiesto il pm Gabriele Paci (oggi Procuratore a Trapani) che ha istruito il processo.
I giudici scrivono che il latitante «condivise in pieno l’oggetto e la portata del piano criminale di Riina di attacco allo Stato e di destabilizzazione delle sue Istituzioni allo scopo, da un canto, di colpire i nemici storici, gli inaffidabili e i traditori di Cosa nostra, dall'altro canto, di entrare in contatto con nuovi referenti con cui trattare per giungere ad un nuovo equilibrio».
E sottolineano che questo mafioso trapanese-corleonese era a conoscenza della «trattativa Stato-mafia, l'altra faccia della medaglia del piano stragista» scrive la Corte. E aggiunge su questo punto: «Furono resi edotti Matteo Messina Denaro e Graviano (“i picciotti sanno tutto”), con sicuro coinvolgimento del boss trapanese». «In definitiva, Matteo Messina Denaro fu in assoluto un membro del cerchio magico di Riina e, anche solo in tale veste (senza nulla togliere alla comunque accertata reggenza della provincia di Trapani), è uno dei protagonisti dell'attacco sfrontato che Cosa nostra intraprese contro lo Stato al fine di destabilizzarne le Istituzioni e costringerlo tramite nuovi canali referenziati a trovare un compromesso favorevole ad entrambi i fronti».
Per i giudici Matteo Messina Denaro «mise fattivamente a disposizione della causa stragista le proprie energie e le sue forze militari e logistiche convogliando in senso unidirezionale tutta la nomenclatura trapanese. Man mano che il piano stragista prese corpo in parallelo Matteo Messina Denaro - in via diretta o indiretta (ovvero anche a mezzo degli uomini d'onore della provincia mafiosa da lui retta) - dimostrò tangibilmente la sua perdurante adesione e in tal guisa, ribadendo la fedeltà a Riina in quel delicato momento per la sua leadership e per l'intera Cosa nostra».
La Corte ha fatto un certosino lavoro di ricostruzione dei fatti e della storia criminale dei corleonesi. È entrata nei meandri mafiosi che hanno portato alla genesi delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il movente. La deliberazione degli attentati e le singole riunioni in cui i boss ne hanno discusso. La creazione da parte di Riina della “Super cosa” che andava al di sopra della commissione di Cosa nostra.
Compie oggi 60 anni Matteo Messina Denaro, l’ultimo padrino di cosa nostra ancora in libertà , tra i latitanti più pericolosi d'Europa e del Mondo. Sessanta tanti quanti ne ha compiuto anche il suo eroe Diabolik. Di Matteo Messina Denaro, non si hanno foto segnaletiche né impronte digitali. Se un giorno venisse fermato, potrebbe essere riconosciuto solo attraverso l'esame del Dna.
Classe 1962, è nato il 26 aprile a Castelvetrano, figlio di Francesco e Lorenza Santangelo. Un fratello Salvatore ed una sorella Patrizia, finiti in prigione in una operazione antimafia effettuata nel dicembre 2013.
La casa della sorella era stata definita dagli inquirenti ‘la stazione di posta del fratello latitante’. Ma nel tempo sono finiti in carcere nipoti e cugini, gregari e fiancheggiatori del boss. Matteo Messina Denaro appartiene alla generazione di mafiosi successiva a quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Conosciuto anche come “U siccu, o diabolik come il suo fumetto preferito (come lui avrebbe voluto farsi montare due mitra nel frontale della sua 164, ndr), è considerato capo e rappresentante indiscusso della mafia trapanese.
E’ l’ultimo grande boss mafioso latitante che ha goduto (e gode) di una fitta rete di protezione nel trapanese anche grazie all’enorme disponibilità di soldi.
Diventa uccel di bosco nel giugno del ’93 su di lui un ordine di arresto per 4 omicidi. “Non pensare più a me, non ne vale la pena†- scriveva alla fidanzata progettando la fuga e poi continuava - “È iniziato il mio calvario, e a 31 anni, e con la coscienza pulita, spero tanto che Dio mi aiutiâ€.
Da latitante è riuscito ad avere due figli, una ragazza di cui si conosce anche la madre, e un maschio. Le uniche certezze dell’esistenza di quel bambino, nato tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 in un triangolo compreso tra i Comuni di Partanna, Castelvetrano e Campobello, starebbero nelle intercettazioni rubate ai familiari del boss, che ne parlano più di una volta, facendo capire persino che il padre si sarebbe pure arrabbiato e avrebbe chiesto la prova del Dna.
È stato Matteo Messina Denaro a creare  a Trapani la mafia infiltrata nell’economia, nelle imprese, nelle banche a farla diventare una mafia imprenditrice. Dentro le istituzioni, c’era e c’è, la cassaforte di Cosa Nostra, lo confermano i maxi sequestri di milioni di euro, tutti recano il sigillo del super latitante.
La mafia trapanese che un tempo ha saputo sparare oggi è sommersa, vive dentro le imprese, essa stessa è impresa, una volta faceva eleggere i politici, oggi elegge mafiosi destinati a diventare politici, è rappresentata da mafiosi dalle doti imprenditoriali, manager del commercio e del cemento. Comune denominatore: Matteo Messina Denaro, quello che si vantava che da solo aveva riempito un intero cimitero per i suoi morti ammazzati, comprese quelle delle stragi mafiose del 1993 di Roma, Milano e Firenze.
Matteo Messina Denaro guida la mafia che è stata capace di intercettare quei fondi pubblici che sono arrivati per anni in una provincia povera ma che, invece di diventare ricca si è ritrovata ogni giorno sempre più povera nonostante i finanziamenti pubblici giunti. Matteo Messina Denaro continua ancora oggi ad essere onorato e rispettato come un “Dio†da tutta la consorteria. Vale la pena ricordare come in una operazione antimafia della polizia “Golem†- uno degli indagati intercettato diceva all’altro interlocutore al telefono di essere propenso a lasciare moglie e figli pur di onorare ed aiutare il boss latitante.
Il padre Francesco Messina Denaro
Matteo finì latitante l'anno dopo il padre. Don Ciccio era diventato capomafia della provincia di Trapani a ridosso degli anni ’80. “In una cantina dei cugini Ignazio e Nino Salvo, durante una riunione – racconta il pentito marsalese Antonino Patti – Francesco Messina Denaro venne eletto capo provincialeâ€. Negli anni precedenti, il capo era stato invece Nicola Buccellato di Castellammare, che però era finito in carcere ed era stato “posato†nel 1983.
Nella sua latitanza, durata otto anni, Don Ciccio Messina Denaro era stato accusato di vari omicidi, con diverse condanne (tra le quali un ergastolo nel 1997).
Don Ciccio Messina Denaro quando fu fatto trovare morto a ridosso di una trazzera di campagna, aveva le mani giunte, il vestito scuro, i mocassini quasi nuovi ed un cappotto di astrakan addosso. “Sulu mortu lu putistivu pigghiariâ€, aveva urlato la moglie Lorenza Santangelo.
Le Stragi Falcone e Borsellino e il suo coinvolgimento
È una delle “menti†delle stragi di Falcone e Borsellino. Matteo Messina Denaro «partecipava e ideava un programma criminale teso a destabilizzare le istituzioni e concorreva a deliberare l’esecuzione del piano di uccisione del dottor Falcone». Ha sostenuto la strategia terroristica mafiosa di Riina e l’attacco allo Stato, al quale i Corleonesi avevano dichiarato guerra. Ed il capomafia è stato uno snodo della trattativa Stato-mafia.
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