Sequestro Iuventa. Dopo cinque anni ancora il processo non decolla
Nuovo rinvio
A cinque anni dal sequestro della nave Iuventa, della Ong tedesca Jugend Rettet, bloccata il 2
agosto 2017, sabato scorso il processo in corso a Trapani è stato aggiornato per la seconda volta e rimandato al 3 dicembre. Tutto questo, spiega la difesa dei venti imputati (gran parte dell’equipaggio della nave), «a causa di errori commessi dalla procura».
La questione riguarderebbe il ritardo con il quale alcuni imputati hanno ricevuto la notifica del rinvio a giudizio, ritardo che avrebbe impedito la presentazione di una memoria difensiva oppure l’interrogatorio da parte della polizia giudiziaria o del pm.
Uno degli imputati, che ha chiesto di essere sentito dalla polizia, ha dovuto interrompere l'interrogatorio perché l’interprete, sostengono gli avvocati di Iuventa, «non conosceva il vocabolario giuridico di base. Eppure si tratta di un processo che potrebbe potenzialmente finire con pene fino a 20 anni di carcere».
Dariush Beigui, uno degli imputati, afferma: «Stiamo correndo il rischio di un interrogatorio volontario che potrebbe essere usato contro di noi. Lo facciamo per consentire al processo di
andare avanti, visto che non siano criminali e che quindi non abbiamo nulla da nascondere».
Nicola Canestrini, avvocato della difesa, sottolinea che non si tratta di un caso isolato: «L'incapacità di concedere un diritto fondamentale di equo processo come la traduzione di un
interrogatorio è un fallimento sistemico in Italia, che colpisce tutti gli imputati stranieri. Chiederemo al tribunale di Trapani di inviare il caso alla Corte di giustizia europea».
Secondo l’Eulita, l’associazione europea degli interpreti giuridici e dei traduttori, «una retribuzione ridicola tiene gli interpreti qualificati lontani dai tribunali, con la conseguenza che le udienze devono essere sospese e i costi aumentano. Non è tollerabile che gli Stati membri non rispettino le disposizioni sulla formazione e la qualità degli interpreti e dei traduttori legali». Iuventa sta lanciando una campagna sotto l’hashtag #NoTranslationNoJustice per mostrare gli effetti devastanti causati dalla cattiva traduzione degli interrogatori per gli imputati, spesso condannati senza riuscire a spiegare le proprie ragioni. (Fonte Ansa)
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